Le banche cosiddette “Popolari” sono quelle che meglio hanno retto alla buriana che infiamma i mercati finanziari dal 2007 a oggi. Sono quelle che stanno bene, perché ancora prestano denaro a famiglie e imprese, e non hanno speculato, vuoi per statuto, vuoi per autocontrollo, con derivati e simili, con la politica e simili. Il segreto? Nel voto capitario. Ovvero: non importa quante azioni hai, quando si vota ogni titolare di azioni vota per uno. Così poco tempo fa è crollato il castello della BCC di Asciano, dove la dirigenza e la Banca d’Italia volevano una fusione con quella di Montepulciano. A che e a chi serviva questa fusione non l’ha capito la maggior parte dei soci e le decisioni imposte dall’alto hanno perso fragorosamente.
Tornando alle Popolari, qualcuno deve aver fatto il conto che un bell’agglomerato di queste banche avrebbe la capacità finanziaria di digerire l’acquisizione di una banca in gravi difficoltà come potrebbero essere MPS o Carige. Ma andare a spiegare ai 100mila soci della Popolare di Vicenza l’idea che una super-Popolare, magari dotata di Fondazione, si debba acquistare Rocca Salimbeni perché lì la politica ha fallito diventa una cosa impossibile. Forse susciterebbe l’idea che, come a Siena e usando mediocri prestanomi locali, la politica potrebbe scippare loro una banca con 48 miliardi di attivi. Molto più semplice, presentare in Consiglio dei Ministri una legge che abolisce il voto capitario, favorisce l’arrivo di grossi capitali, e diminuisce ancora di più l’erogazione del credito, che le Popolari negli anni scorsi hanno saputo far bene principalmente a favore dei soci, a differenza dei grossi gruppi bancari che lo erogavano solo a parenti e amici dei manager.
Nelle sole Toscana e Umbria sono almeno 20.000 risparmiatori, soci del Banco Popolare, che verranno espropriati della partecipazione al controllo della loro banca. Ci diranno che lo chiede la solita Europa, e non è vero. D’altra parte se qualsiasi numero di azioni vale uno in sede di voto, come fa il capitalismo a impadronirsi di uno dei pochi asset che ancora non hanno sfilato alla gente comune? I dipendenti e i piccoli azionisti del Monte che hanno creduto alle bugie di Mussari e dei suoi megafoni mediatici, comprando per amor di patria (e promesso guadagno) le azioni dell’aumento del capitale 2008 hanno collezionato, in gruppo, perdite ultramilionarie. Qualcuno ha messo a repentaglio una serena vecchiaia, ma non conta nulla, è un numero zero virgola nel libro soci. La fine che attende quelli delle banche popolari.
Intanto a Piazza Affari nei giorni scorsi, c’è stata una magra consolazione per i soci delle Popolari, la notizia ha messo le ali ai titoli bancari.