Moltiplicati i requisiti di capitale e liquidità per le banche
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Il processo di armonizzazione globale delle regole finanziarie si è concretizzato negli ultimi sette anni in numerosi interventi normativi in risposta alla crisi economica e finanziaria. In Europa l’entrata in vigore delle nuove regole sull’adeguatezza patrimoniale (CRR e CRD4) e l’approvazione della direttiva sui piani di risanamento e di risoluzione delle crisi (BRRD) costituiscono, insieme all’istituzione del meccanismo di vigilanza unico, progressi fondamentali per la costruzione di un sistema finanziario integrato a livello europeo.

Tuttavia, se l’implementazione di normative e pratiche prudenziali più severe è giustificata dalla necessità di evitare il ripetersi della crisi e di salvaguardare la stabilità del sistema finanziario, è anche vero che le banche oggi si trovano a dover rispettare una molteplicità di vincoli patrimoniali. Per comprendere la portata di questo cambiamento è sufficiente esaminare l’impatto della riforma della vigilanza prudenziale sui requisiti minimi di capitale e sulla normativa di gestione delle crisi bancarie.

Requisiti di Pillar 1. L’entrata in vigore, dal 1° gennaio 2014, del pacchetto normativo CRR/CRD4 ha portato all’introduzione di nuovi requisiti minimi per le banche e i gruppi bancari. La calibrazione e i tempi di applicazione di questi coefficienti non sono univoci perché talvolta imposte dagli atti comunitari, in altri casi delegate alle decisioni delle autorità nazionali competenti. Rispetto all’8% previsto dalla precedente normativa, oggi le banche devono (o teoricamente dovrebbero) rispettare i requisiti di seguito indicati.

  • Tre livelli minimi di capitale: common equity tier1 ratio, tier1 ratio e total capital ratio che dal 2015 sono pari rispettivamente al 4.5%, 6% e 8% degli attivi ponderati per il rischio;
  • Riserve addizionali di capitale di qualità primaria (common equity) con funzioni di conservazione del capitale, anticiclica (entrambe con introduzione graduale dal 2016)[1] e per le istituzioni a rilevanza sistemica. Quest’ultimo cuscinetto sarà introdotto dal 2016 in modo graduale e si applicherà obbligatoriamente alle banche sistemiche a livello globale (da 1% a 3.5%) o alle banche rilevanti a livello nazionale identificate dalle autorità di vigilanza nazionali (Banca d’Italia per l’Italia) (massimo 2%)[2].
  • Indice di leva finanziaria (rapporto tra il capitale di classe 1 e l’esposizione complessiva dell’ente), che entro il 2016 dovrà essere oggetto di una proposta legislativa della Commissione che ne indichi i livelli (anche seguendo vari modelli aziendali) e il periodo di introduzione;
  • Due requisiti per il rischio di liquidità: Liquidity Coverage Ratio (LCR) introdotto gradualmente dal 2015 e il Net Stable Funding Ratio (NSFR) che è in attesa di una proposta legislativa della Commissione (entro il 2016).

Requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (MREL). Le norme sul risanamento delle banche e la risoluzione delle crisi bancarie rappresentano una novità nel quadro normativo di vigilanza e nascono dalla necessità di dotare le autorità di strumenti di prevenzione delle crisi o, in caso di situazione finanziaria irrimediabilmente deteriorata, di evitare che i costi della ristrutturazione/liquidazione ricadano sui contribuenti. La Direttiva UE n.59/2014 (c.d. BRRD), entrata in vigore dal 1 gennaio 2015, ha l’obiettivo di armonizzare a livello comunitario le politiche di risanamento e di risoluzione delle crisi bancarie e identifica un insieme minimo di strumenti per la risoluzione (da applicare quando un ente è in dissesto o a rischio dissesto). Tra questi strumenti il più innovativo è senza dubbio il bail‐in, ovvero l’attribuzione all’autorità del potere di svalutare le somme esigibili di creditori non garantiti della banca in crisi o di convertire le passività in capitale (con la finalità di ricapitalizzare l’intermediario). Per evitare che gli enti strutturino le passività in modo da compromettere l’efficacia di questo strumento, la BRRD richiede il rispetto (a partire dal 1 gennaio 2016) di un requisito minimo relativo ai fondi propri e alle passività ammissibili (MREL). Si tratta di una novità assoluta nel quadro della regolamentazione bancaria che si tradurrà in un ulteriore vincolo operativo il cui impatto dipenderà anche dalla calibrazione che le autorità nazionali competenti dovranno fissare, tenendo in considerazione fattori idiosincratici della singola banca.

Nel quadro del processo di riforma si inserisce anche la revisione dei requisiti di Pillar 2 e in particolare le nuove linee guida dell’EBA definiscono le procedure e le metodologie comuni per la revisione e la valutazione del processo di controllo prudenziale (SREP). Dal 1 gennaio 2016 entrerà in vigore un quadro comune per la valutazione dei rischi e dell’adeguatezza del capitale e della liquidità nell’ambito del secondo pilastro. Le linee guida si basano su quattro componenti principali, alcuni dei quali rappresentano una novità (per esempio l’analisi del modello di business), e altri si baseranno su regole e processi più restrittivi rispetto alla precedente normativa (per esempio la valutazione dell’adeguatezza del capitale).

L’attuale quadro regolamentare risulta ancora più “stringente” per le banche vigilate dalla Banca Centrale Europea. Infatti, l’organo di vigilanza europeo già con il Comprehensive Assessment ha richiesto soglie di CET1 più elevate del minimo regolamentare per superare l’AQR (8%) e le prove di stress test. Inoltre, il Consiglio di vigilanza della Bce, a seguito del Supervisory Review and Evaluation Process (SREP), ha comunicato alle singole banche vigilate le soglie minime per i requisiti patrimoniali, fissando sostanzialmente livelli di CET1 ad hoc per ciascun istituto.

Le riforme descritte sono il frutto della revisione delle regole di vigilanza bancaria innescata dall’esperienza della crisi e dal processo di creazione di un quadro finanziario integrato a livello comunitario. Nell’immediato futuro altri interventi legislativi si concretizzeranno in nuovi limiti all’operatività bancaria, per esempio il tema della revisione strutturale del sistema bancario (su cui la Commissione Europea ha già formulato una proposta di regolamento). È evidente che l’eccesso di regolamentazione può alterare il rapporto costi-benefici del processo di riforma, per gli effetti negativi dei costi di adeguamento alla normativa e della rigidità imposta alla gestione bancaria. La molteplicità di requisiti patrimoniali e di liquidità imposti alle banche e sopra descritti dovrebbe far suonare un campanello d’allarme sull’opportunità di proseguire in questa direzione e stabilire un limite di regole da non oltrepassare.

[1] L’autorità nazionale competente può stabilire soglie più alte, anticiparne l’entrata in vigore o escludere alcuni intermediari di piccole e medie dimensioni.

[2] L’art.133 della Direttiva n.36/2013 prevede anche la possibilità, per le autorità nazionali competenti, di imporre una riserva addizionale per il rischio sistemico (potenzialmente applicabile già dal 2014) in un intervallo dall’ 1% al 3% su tutte le esposizioni e fino al 5%su esposizioni domestiche o verso paesi terzi. Il buffer sistemico e i cuscinetti per le istituzioni sistemicamente rilevanti non sono cumulativi, ma sarà applicato il più elevato dei tre (a meno che il buffer sistemico non si applichi solo alle esposizioni domestiche).

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