MUTUI BANCARI: LA DEROGA AL DIVIETO DI ANATOCISMO È CONSENTITA IN BASE AD APPOSITA PATTUIZIONE

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LA MASSIMA

Nel contesto normativo successivo all’entrata in vigore del T.U.B., la deroga al disposto dell’art. 1283 c.c. (divieto di anaticismo) è consentita in relazione a tutti i contratti di mutuo bancario, ma solo in base ad apposita pattuizione anteriore al sorgere del credito per interessi.

Ai sensi dell’art. 3 della delibera 9.2.2000 del CICR, nelle operazioni di finanziamento in cui il rimborso del premio avviene mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore, l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento.

IL CONTESTO NORMATIVO
Art. 3, comma 1, delibera CICR del 9.2.2000
Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica.

LA DECISIONE

Con l’affermazione del principio di diritto sopra evidenziato, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con sentenza del 22 maggio 2014, n.1140, ha definito i confini applicativi del disposto di cui all’art.1283 c.c. (“anatocismo”), nel contesto normativo vigente ratione temporis, in relazione ai contratti di mutuo bancario.

In estrema sintesi, infatti, se, da un lato, la Suprema Corte ha sancito che, a seguito della mutata nozione e struttura del credito fondiario, rispetto a quest’ultimo non può configurarsi alcuna deroga al divieto di anatocismo ex art.1283 cc, dall’altro ha precisato che in tutti i contratti bancari di finanziamento stipulati sotto la vigenza della delibera CICR del 9.2.2000, che prevedano il rimborso del prestito mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, l’importo dovuto alla scadenza di ciascuna rata (comprensivo di interessi) può produrre ulteriori interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento – e dunque anche sulla quota di interessi corrispettivi – sempre che ciò sia stato espressamente previsto nel regolamento contrattuale.

Con riferimento al caso di specie, il ragionamento della Cassazione può essere più agevolmente compreso.

In particolare, trattasi di pronuncia resa sul ricorso presentato da un istituto di credito avverso la duplice pronuncia negativa (del Tribunale di Lucca – in rito – e della Corte d’Appello di Firenze – nel merito) sulla propria opposizione allo stato passivo ex art.98 L.Fall.

La Banca denunciava, in particolare, di essere stata ammessa solo parzialmente allo stato passivo di una società posta in liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del credito dovuto a titolo di interessi moratori, asseritamente dovuti sulle rate scadute (ed ancora a scadere, con decadenza dal beneficio del termine) del contratto di mutuo alla data di apertura della LCA, nonché – nella misura legale e sempre in via ipotecaria – per il periodo successivo alla LCA, ai sensi dell’art.2855, comma terzo, cc.

A dire della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere applicabile ai mutui fondiari stipulati nella vigenza del TUB (e prima dell’entrata in vigore della delibera CICR del 9.2.2000) il divieto di anatocismo, per tre ordini di ragioni:

1) perché gli interessi corrispettivi del mutuo, una volta divenuti esigibili, vengono conglobati nel capitale da restituire, con la conseguenza che la maturazione sugli stessi degli interessi di mora non integra una fattispecie riconducibile all’art. 1283 c.c.;

2) perché, inoltre, in materia di mutuo fondiario gli interessi sugli interessi vanno riconosciuti in deroga al divieto di anatocismo;

3) perché, nei contratti di mutuo fondiario, l’anatocismo sarebbe consentito in virtù di un uso normativo.

Tali argomentazioni sono state, tuttavia, respinte – punto per punto – dagli Ermellini, che hanno giudicato infondato il motivo di ricorso.
In particolare, la Cassazione, contrariamente ad un orientamento molto radicato in parte della giurisprudenza di merito e ritrovato in alcune pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario (cfr., su tutte, Tribunale di Napoli, Dott. Nicola Mazzocca, ordinanza del 15-04-2014 e Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di coordinamento, decisione del 28-03-2014, n.1875), ha affermato che la formazione delle rate di rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene alle mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento – che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse.

Tale diversità di natura ed autonomia di funzioni comporta che risultano pienamente applicabili le limitazioni previste dall’art. 1283 c.c., con la conseguenza che la banca mutuataria non può pretendere il pagamento degli interessi moratori sul credito scaduto per interessi corrispettivi. In tal senso, i giudici di legittimità richiamano – genericamente – le pronunce rese in casi analoghi.

Sulla seconda argomentazione della Banca (in materia di mutuo fondiario gli interessi sugli interessi vanno riconosciuti in deroga al divieto di anatocismo), la Cassazione ha chiarito che la deroga al divieto di anatocismo per i mutui fondiari non può trovare albergo nel contesto normativo successivo all’introduzione del T.U.B., che detta all’art.38 la nozione di credito fondiario, ma non reca alcuna disposizione che preveda, come per il passato, che le somme dovute a titolo di rimborso delle rate di ammortamento dei mutui fondiari, comprensive di capitali e interessi, producono, di pieno di diritto, interessi dal giorno della scadenza.

Tale “omissione” va ritenuta coerente – a detta del Supremo Collegio – con le mutate caratteristiche del credito fondiario. Quest’ultimo, in passato erogato da istituti di diritto pubblico, che collocavano presso i risparmiatori i propri crediti, attraverso le “cartelle fondiarie”, e assicuravano l’esatta corrispondenza tra il volume complessivo dei mutui in essere e le passività di uguale scadenza, di tal che l’obbligo di corrispondere gli interessi moratori sull’intero importo della rata scaduta era posto a tutela della stabilità dell’intero sistema e dell’interesse dei risparmiatori, è oggi (per la verità, gradualmente, a partire dal d.P.R. n.7/1976) erogato da qualsiasi ente bancario e si caratterizza per essere semplicemente un “finanziamento a medio e lungo termine garantito da ipoteca di primo grado su immobili” (art. 38, comma primo, TUB).

“Deve dunque concludersi” – spiega la Cassazione – “che, con l’entrata in vigore del t.u.b., la struttura del credito fondiario ha perso quelle peculiarità nelle quali risiedevano le ragioni della sua sottrazione al divieto di cui all’art. 1283 c.c”.

La Suprema Corte ha, infine, escluso la vigenza in materia di un uso normativo, preesistente all’entrata in vigore del codice civile, che deroghi alla citata disposizione, in quanto gli usi normativi contrari, cui espressamente fa riferimento l’art. 1283 c.c., sono soltanto quelli formatisi anteriormente all’entrata in vigore del codice civile e, nello specifico campo del mutuo bancario ordinario, non è dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l’anatocismo oltre i limiti poi previsti dalla richiamata disposizione codicistica.

La Corte ha così rigettato il ricorso proposto dall’istituto di credito, ritenendo nel caso di specie infondate le doglianze di quest’ultimo, ma ha ben illustrato – concludendo – un principio di carattere generale: a partire dall’entrata in vigore del TUB, non è più ammessa l’automatica capitalizzazione degli interessi, ma trova applicazione il principio generale di cui all’art. 3 della delibera 9.2.2000 del CICR (emessa in attuazione del disposto del II comma dell’art. 120 del t.u.b. medesimo, introdotto dall’art. 25 del d.lgs. n. 342/99), il quale prevede che nelle operazioni di finanziamento in cui il rimborso del premio avviene mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento.

In altri termini: nei contratti di mutuo bancario, stipulati sotto la vigenza dell’art.3 delibera CICR 9.2.2000, è consentita la deroga al divieto di anatocismo di cui all’art.1283 c.c., ma solo in base ad apposita pattuizione anteriore al sorgere del credito per interessi.

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