Perché la prevenzione ambientale aiuta le aziende a essere resilienti
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A differenza di quella per gli infortuni sul lavoro, la prevenzione ambientale non è mai diventata obbligatoria per le aziende. Quindi le espone a rischi che, soprattutto in tempi di cambiamento climatico e dell’intensificarsi di fenomeni metereologici estremi, si fanno più rilevanti. Ma non solo: in materia di gestione dei rifiuti, per esempio, c’è il rischio di incorrere in reati, con conseguenti danni, anche di natura reputazionale, fino ad arrivare al rallentamento delle pratiche di economia circolare.

Una prevenzione non obbligatoria

Lo spiega Stefano Maglia, presidente dell’Associazione italiana esperti ambientali (Assiea), nonché fondatore e ceo della società di consulenza TuttoAmbiente: «Da giurista ambientale, vedo che mentre per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, fin dagli anni 90, le aziende hanno dovuto obbligatoriamente dotarsi di strumenti di prevenzione e sono sottoposte a frequenti ispezioni, la prevenzione ambientale viene invece sottovalutata, in quanto non è mai diventata obbligatoria. A prescindere dai cambiamenti climatici, che pure sono reali e contribuiscono a disegnare una situazione grave, che produce anche fenomeni estremi ai quali purtroppo ci stiamo abituando. È un problema mondiale, ma se si inserisse davvero la sostenibilità ambientale all’interno della governance aziendale, che comprenda anche effettive azioni di prevenzione in questo campo, si potrebbe contribuire a mitigarlo e ad affrontarlo. Per esempio dove c’è sostenibilità vera c’è maggiore attenzione allo spreco di suolo e alla stessa economia circolare».

Gli eco-reati

Il problema è innanzitutto di natura economica, assicurativo, di gestione del rischio, e poi riguarda anche la creazione di alternative o di strumenti che permettano di affrontare le criticità. «Le aziende ¬ sottolinea ancora Maglia ¬ si sono spesso occupate di ambiente come di un freno. Ma recentemente le cose sono cambiate: a partire dagli anni 2000 si è prima cominciato a pensare alle deleghe di funzioni ambientali sul terreno delle responsabilità aziendali, anche perché sono aumentate le sanzioni penali. Il decreto legislativo 121 del 2011 ha poi integrato i reati ambientali all’interno della legge 231, comportando responsabilità amministrative per l’azienda che inquina. È infine del 2015 la legge sugli eco-reati. E anche la stessa riforma dell’articolo 41 della Costituzione obbligherebbe le imprese e il legislatore ad approfondire la direzione della compliance ambientale. Poi recentemente il Pnrr e la dimostrazione di criteri Esg ha accelerato questo percorso».

L’environmental risk manager

La via della sostenibilità è ora sulla bocca di tutti, «eppure nelle aziende mancano ancora le competenze di figure come l’environmental risk manager o il l’health safety and environment (Hse) manager. Che non devono esistere solo sulla carta, ma essere professionalità formate. Nel campo ambientale, pochissime figure sono tipiche. Le stesse associazioni di risk management non le hanno: mi sembra emblematico. Una governance ambientale aziendale, che prevede investimenti economici e assicurativi, è una forma condivisa sicura e certa per essere più forti. E aiuta alla resilienza quando capitano i fenomeni estremi», continua Maglia.

La gestione dei rifiuti

Secondo il giurista ambientale, le maggiori criticità in questo campo provengono dalla gestione dei rifiuti: basta un deposito temporaneo per innescare una serie di problemi che possono sfociare in un reato: «La disciplina sui rifiuti è la più complessa. Di difficile interpretazione e pertanto di difficile dimostrazione di comportamenti legittimi. Infatti la cosa più difficile è dimostrare di aver fatto la scelta giusta. A livello normativo, servirebbe alle aziende maggiore semplificazione e chiarezza. Oltre che la formazione di persone che sappiano gestire tutto questo. Conoscere bene la legge non vuol dire solo fare prevenzione dei rischi. Ma anche intuire possibilità di business che sono vantaggiose, provenienti dall’economia circolare, per esempio, soprattutto nella corretta gestione dei sottoprodotti che può sfociare in pratiche di simbiosi industriale».

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