«Popolari, riforma con più spazio ai fondi»

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È un doppio binario quello su cui si sta per inserire il processo di riforma delle banche popolari: il primo, a livello nazionale, entro questo mese vedrà il varo di un gruppo di lavoro, guidato da Angelo Tantazzi, che «nel giro di sei mesi dovrà produrre una proposta di autoriforma del settore da presentare a Banca d’Italia». Il secondo, di respiro europeo, registrerà la costituzione di un tavolo di esperti, sotto l’egida dell’Associazione Europea delle Banche Cooperative (Eacb), «che dovrà armonizzare il nostro mondo nella cornice della Vigilanza unica».

Dallo scorso luglio Ettore Caselli è subentrato a Emilio Zanetti alla guida dell’Associazione delle banche popolari italiane. Nella sua veste di numero uno, Caselli – che è anche presidente di Bper – traccia per la prima volta in un’intervista la road map del futuro e rilancia con forza il tema di una riforma della disciplina di settore.
Il governatore Ignazio Visco lo ha ripetuto anche all’ultima assemblea dell’Abi: servono nuovi interventi legislativi per superare l’attuale assetto societario per le popolari. È d’accordo?
Il modello delle banche popolari funziona, e lo dimostra la sempre più ampia partecipazione dei soci alla vita societaria. Tuttavia non vi è dubbio che qualche innovazione debba essere apportata a livello di governance.
Che cosa intende?
Dobbiamo trovare una modalità per superare l’applicazione rigida del principio del voto capitario. Penso in particolare agli istituti popolari quotati in Borsa. E credo che vada riconosciuto un peso maggiore ai soci istituzionali, senza i quali oggi sarebbe complicato rimanere in piedi. Non possiamo nascondere che, in assenza del supporto dei fondi di investimento, le banche popolari italiane avrebbero avuto difficoltà a varare la recente ondata di aumenti di capitale degli ultimi mesi.
Il modello delle banche popolari è ancora attuale?
Certo. Il nostro è un mondo che funziona, che si è mostrato efficiente anche nelle fasi di crisi e ha continuato a erogare prestiti nonostante la contrazione degli ultimi anni, svolgendo così una importante funzione anti-ciclica. Però qualcosa dobbiamo fare. Oggi ci sono banche popolari dove il peso dei fondi è anche al 30% del capitale. Dobbiamo riconoscere loro un maggior peso nella governance, pur mantenendo intatto il dna delle banche popolari, che rimangono vocate al supporto del territorio.
Si parla da tempo di un processo di autoriforma. Che cosa intendete fare in pratica?
Di fronte a un vuoto normativo, noi ci muoviamo. A fine mese la nostra associazione darà l’incarico a un gruppo di tre esperti, coordinati dal professor Angelo Tantazzi (oggi alla guida di Prometeia ed ex numero uno di Borsa Italiana, ndr), di stendere una proposta di modifica sulla governance delle popolari. Nel giro di 5-6 mesi condivideremo la bozza con Banca d’Italia, a cui ovviamente spetta l’ultima parola. Dopo di che presenteremo il documento nelle varie sedi istituzionali.
La sfida sarà sempre più a livello europeo: il mercato sembra andare oramai verso una suddivisione netta tra Spa e cooperative. Le grandi popolari quotate sono a metà del guado.
Le italiane si trovano con gli stessi problemi di governance delle altre consorelle europee. Per questo partirà a breve anche un gruppo di lavoro in ambito europeo, sotto l’ombrello dell’Associazione Europea delle Banche Cooperative (EACB), che avrà il compito di studiare l’impatto delle riforme del sistema bancario unico europeo sul mondo popolare-cooperativo e di trovare possibili soluzioni.
A breve arriveranno gli esiti degli stress test. Per le banche italiane è possibile un giro di aggregazioni?
È possibile. Credo che le aggregazioni siano possibili soprattutto per le banche di dimensioni più ridotte. E non è da escludere un potenziale interesse da parte di banche straniere.

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