Quello della microplastica è ormai un problema insormontabile
Anche se non la vediamo, la plastica è in quello che mangiamo, nell’acqua che beviamo e nell’aria che respiriamo.
Sacchetti di plastica

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Anche se non la vediamo, la plastica è in quello che mangiamo, nell’acqua che beviamo e nell’aria che respiriamo. Basti pensare che si calcola che una persona ingerisca ogni anno oltre 100 mila microplastiche, ovvero l’equivalente di una carta di credito (5 grammi) a settimana.

Nonostante questi numeri impressionanti, per l’Europa la questione non sembra di primaria importanza, tanto che non esiste una normativa comunitaria a riguardo né sono stati realizzati studi tossicologici per affermare con assoluta certezza quanto e come la plastica che ingeriamo possa impattare sulla nostra salute. Ma da dove arriva la plastica che finisce involontariamente nel nostro organismo? Diversi studi effettuati nel corso degli anni hanno dimostrato che le bottiglie – di plastica e di vetro, ma con il tappo in plastica – sono una fonte di microplastiche, così come lo sono molti dei cosmetici presenti sul mercato: scrub per la pelle e dentifrici con microgranuli contengono plastica e in Italia sono stati messi al bando da gennaio 2020. Non così altri cosmetici contenenti polietilene – per esempio creme o make up contenenti glitter – quindi il problema nel nostro Paese è stato solo aggirato ma non veramente affrontato.

Naturalmente a questo bisogna aggiungere come fonte primaria di microplastiche l’ambiente che ci circonda, e in particolare l’acqua: ogni anno nel mondo si producono 400 milioni di tonnellate di plastica, delle quali 8 milioni finiscono irrimediabilmente negli oceani di tutto il mondo. Di tutta la plastica prodotta, ad oggi solo il 15% viene riciclata, il che fornisce una spaventosa misura della portata del problema.

Microplastiche: pericolose per la salute dell’uomo e degli animali

Come possono influire le microplastiche sulla nostra salute? Anche se non esistono studi scientifici ufficiali, molti esperti negli anni si sono interrogati sull’effetto che i piccoli e apparentemente innocui frammenti di plastica potrebbero avere sul nostro organismo una volta ingeriti. Il pericolo, spiegano gli esperti, non riguarda tanto la plastica in sé quanto le sostanze che questa può rilasciare nell’organismo: parliamo di interferenti endocrini come gli ftalati, ma anche di inquinanti detti “pop” (acronimo di Persistent Organic Pollutants), di cui la plastica si fa veicolo e che possono avere effetti tossici anche gravi.

Se l’uomo è vittima ma al contempo artefice di questo disastro ambientale, le uniche vere vittime della plastica sono gli animali e gli ecosistemi marini: pensiamo che esiste un’isola che può essere considerata il simbolo di questo enorme problema. Parliamo dell’Atollo di Midway, nell’Oceano Pacifico, dove i rifiuti di plastica regnano sovrani nonostante l’isola sia del tutto disabitata; a farne le spese sono le migliaia di albatros che abitano queste zone, che scambiano la plastica per cibo e spesso muoiono soffocati ingerendola o intossicati dalle enormi quantità di rifiuti che si bloccano nel loro apparato digerente. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: la plastica è ormai entrata a far parte della catena alimentare di tutti gli animali marini, compresi i pesci ancora oggi destinati all’alimentazione umana; ecco allora che il cerchio si chiude, e anche alcuni alimenti diventano per l’uomo fonte di microplastiche.

Un disastro ambientale di enorme portata, che ha preso avvio dagli anni ’60 con il boom della plastica e che oggi risulta una delle sfide più complesse per l’ecologia. Nostro malgrado, siamo costretti a fare i conti con un problema ambientale senza precedenti, la cui risoluzione non sembra attualmente alla portata delle più moderne scoperte tecnologiche. Di questo passo, secondo gli esperti, fra 30 anni la quantità di plastica prodotta annualmente supererà i 2 miliardi di tonnellate e non si tratta decisamente di un traguardo che possiamo permetterci di raggiungere.

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