Il requisito della forma scritta nei contratti bancari

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Cass., 1 ottobre 2014, n. 20726 

Con la sentenza n. 20726 del primo ottobre 2014 la Suprema Corte affronta il tema del requisito della forma scritta nei contratti bancari.

Il fatto: un istituto bancario propone opposizione al passivo di un fallimento di una s.r.l. chiedendo che venga ammesso un credito risultante da un’apertura di credito concessa con atto notarile ed utilizzata nell’ambito di un distinto rapporto di conto corrente. Tuttavia il Tribunale di primo grado rigetta l’opposizione sul rilievo che l’istituto bancario  aveva dichiarato di non essere in possesso  del contratto di conto corrente e  precisando che, ai sensi dell’art. 117, d.lgs. n. 385/1993 tale contratto richiede la forma scritta ad substantiam. Avverso quest’ultima decisione la banca fa ricorso lamentando che il contratto di conto corrente bancario, in quanto stipulato nell’anno 2001, era soggetto alla disciplina dettata dall’art. 3, legge n. 154/1992 e dalle disposizioni integrative adottate dal Ministro del tesoro con il decreto del 24 aprile 1992, nonché dalle istruzioni impartite dalla Banca d’Italia il 24 maggio 1992, che escludevano la necessità della forma scritta per le operazioni ed i servizi già previsti da contratti stipulati per iscritto. Gli Ermellini accolgono proprio il predetto gravame, cassando la decisione e rinviando al Tribunale in diversa composizione.

La sentenza in commento ci permette di dare una risposta alla seguente domanda:

è da considerarsi nullo un contratto di conto corrente che difetti di forma scritta ma che è collegato ad un contratto di apertura di credito stipulato nelle forme di legge e quindi valido ed efficace?

Secondo i Giudici di legittimità la concessione di un’apertura di credito utilizzabile nell’ambito di un distinto rapporto di conto corrente non darebbe luogo ad un unico contratto, ma a due diversi contratti. Il primo ha  ad oggetto  la creazione di una disponibilità a favore del cliente il secondo lo svolgimento di un servizio di cassa da parte della banca sul presupposto dell’esistenza della predetta disponibilità (cfr. Cass., Sez. I, 30 ottobre 1968, n. 3637).

La strumentalità di tali contratti ad un unico risultato, rappresentato dall’utilizzazione delle somme messe a disposizione del correntista, pur determinando un fenomeno di collegamento tra negozi, non esclude l’autonomia strutturale degli stessi, in relazione alla quale dev’essere pertanto valutata anche l’intercomunicabilità delle relative vicende.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il collegamento negoziale non da’ luogo a un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che non si realizza per mezzo di un singolo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi, ma aventi ciascuno una causa autonoma, con la conseguenza che, pur creandosi un vincolo di reciproca dipendenza, in virtù del quale le vicende relative all’invalidità, all’inefficacia ed alla risoluzione dell’uno possono ripercuotersi sugli altri, ciascuno di essi conserva una propria distinta individualità giuridica (cfr. Cass., Sez. III, 10 luglio 2008, n. 18884; 12 luglio 2005, n. 14611; Cass., Sez. I, 25 agosto 1998, n. 8410).

Per cui la mancata dimostrazione dell’avvenuta stipulazione del contratto di conto corrente nella forma prescritta ad substantiam non si traduce nell’affermazione della nullità anche del contratto di apertura di credito. Tale conclusione trova giustificazione nella causa del predetto contratto, la cui stipulazione, risolvendosi nella mera creazione di una disponibilità a favore del correntista, che può avvalersene in una o più riprese, ricostituirla totalmente o parzialmente o anche astenersi dall’utilizzarla, non comporta automaticamente l’insorgenza di un credito in favore della banca, ricollegabile esclusivamente all’effettivo prelievo della somma accreditata (cfr. Cass., Sez. I, 9 settembre 2004, n. 18182; Cass., Sez. Un., 24 febbraio 1986, n. 1088; 14 dicembre 1981, n. 6594). In quanto regolata in conto corrente, l’utilizzazione della predetta somma presuppone peraltro la validità del relativo contratto, la cui mancata dimostrazione non può non riflettersi sull’accertamento del credito fatto valere dalla banca.

L’art. 117, d.lgs. n. 385/93, però,  nel prevedere a pena di nullità l’obbligo di stipulare per iscritto i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi finanziari e bancari, ha tuttavia rimesso al CICR la facoltà di prevedere per particolari contratti, la stipulazione in altra forma. Detta facoltà ha trovato attuazione dapprima con il decreto del Ministro del Tesoro del 24 aprile 1992 e con la Circolare della Banca d’Italia del 24 maggio 1992 e poi con la delibera del CICR del 4 marzo 2003 e con le Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia le quali hanno previsto che l’adozione della forma scritta non è obbligatoria.
Le succitate norme integrano il precetto legislativo e, nei limiti consentiti dalla legge stessa, vi derogano, con la conseguenza che hanno natura di atti normativi, sia pur non di rango primario e debbono pertanto essere conosciute d’ufficio dal giudice, secondo il principio iura novit curia (Cass., n. 14470/2005).
Dal 1992 a tutt’oggi le disposizioni della Banca d’Italia, a tanto autorizzata dal CICR, hanno sempre previsto, pur nel variare dei testi normativi, che non fosse richiesta la forma scritta per i contratti relativi ad operazioni e servizi già previsti in contratti redatti per iscritto, tra cui il contratto di conto corrente di corrispondenza, in base alla considerazione che costituisce sufficiente garanzia per il cliente che il contenuto normativo del contratto sia redatto per iscritto, mentre poi la sua concreta stipulazione, alle condizioni riportate nel contratto scritto, potrà avvenire in altra forma nel rispetto delle esigenze di celerità ed operatività che taluni tipi di contratti esigono.

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