Settimana corta, la Ragioneria dello Stato dice no alla proposta di legge

Chi auspicava il via libera alla settimana corta in Italia, dovrà ricredersi. Non ci sono i soldi per finanziare un così significativo cambiamento dell’orario di lavoro, o almeno questo è l’autorevole parere della Ragioneria dello Stato, un organo tecnico avente il compito di verificare la compatibilità finanziaria delle iniziative legislative e amministrative delle istituzioni statali, con particolare riferimento al rispetto degli equilibri di finanza pubblica.

Recentemente avanzata dai partiti di opposizione, la proposta di legge in materia ha ricevuto – quindi – una ufficiale bocciatura. Per la Ragioneria di Stato l’iniziativa per la riduzione dell’orario di lavoro – conservando la stesso importo di stipendio – porterebbe a costi indefiniti per la Pubblica Amministrazione e a troppo pesanti sgravi ai privati. Insomma, un’agevolazione per i lavoratori dal pur lodevole fine, ma dai mezzi non sostenibili.

4 giorni di lavoro invece che 5, i contenuti della proposta e le potenzialità della nuova organizzazione del lavoro

Tra potenzialità dello smart working, nuove frontiere dell’AI e necessità di recupero di un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata, il dibattito sulla settimana corta è aperto da tempo. La proposta finita sotto la lente della Ragioneria dello Stato, prevedeva l’introduzione di 4 giorni di lavoro invece che 5, senza – dicevamo – alcuna decurtazione in busta paga.

I partiti che avevano lanciato questa proposta miravano a potenziare la produttività e a migliorare il benessere dei lavoratori, dando loro più ore disponibili per stare con la famiglia, per il tempo libero o per il più semplice relax e recupero psico-fisico. L’idea di fondo era – quindi – quella di dare primario rilievo alla valutazione delle attività lavorative, intese come performance e obiettivi raggiunti, senza basarsi – solamente – sulle ore lavorative stabilite nel contratto.

A sostegno di questa nuova idea di lavoro ci sono vari studi. Si pensi ad es. a un rapporto dell’Associazione 4 Day Week Global, secondo il quale la settimana corta o di 4 giorni permetterebbe di incrementare la concentrazione e la motivazione sul lavoro, con un tangibile e conseguente aumento della produttività, maggior soddisfazione dei lavoratori e un minor rischio di burnout. Al contempo, la riduzione di ore servirebbe ad attirare nuovi talenti in ufficio, comportando un non irrilevante vantaggio competitivo.

Mentre, recentemente, nel Regno Unito un’indagine dell’Università di Cambridge ha studiato l’impatto dell’introduzione della settimana corta, giungendo alla conclusione per cui circa il 71% dei lavoratori coinvolti nell’indagine ha dichiarato di avere livelli più bassi di burnout e il 39% ha dichiarato di essere meno stressato, rispetto all’inizio dello studio. Mentre i giorni di malattia sono calati di ben il 65% e le dimissioni dalle aziende coinvolte nello studio sono scese del 57%, in proporzione allo stesso periodo dell’anno anteriore. Insomma, i benefici del taglio di un giorno di lavoro sarebbero oggettivi.

Per la Ragioneria dello Stato non ci sono le coperture finanziarie

La bocciatura della Ragioneria dello Stato parrebbe è senza appello, o almeno la bocciatura dei contenuti della proposta avanzata da PD, M5S e AVS: l’attuazione di tale modello implicherebbe, infatti, un incremento notevole dei costi, correlati alla necessità di compensare le ore non lavorate con nuove assunzioni (ad es. in sanità, scuola, trasporti, servizi della PA) o l’applicazione di straordinari.

E, se è vero che nel nostro paese alcune aziende e datori di lavoro, in particolare nel settore privato e tecnologico, hanno già varato la settimana corta, è altrettanto vero che – sul piano nazionale – il lancio strutturale appare una scelta al momento “avventurosa”, se non accompagnata da una organica, lungimirante e avveduta riforma del sistema produttivo e organizzativo. La settimana corta per tutti – spiega l’ufficio della Ragioneria – condurrebbe a un impatto economico e le cui conseguenze per il bilancio pubblico potrebbero essere assai negative: a più spesa pubblica non conseguirebbe – automaticamente – l’aumento di produttività o entrate.

E anche se il cambiamento fosse introdotto solo nel settore privato lo Stato potrebbe dover sostenere economicamente le imprese, almeno in una fase di transizione, con incentivi o sgravi fiscali. Un grande impegno che costerebbe non poco al paese, con la conseguenza per cui – spiega la Ragioneria – la settimana corta porterebbe a minori entrate per le casse pubbliche di oltre 8 miliardi annui, a fronte degli incentivi riconosciuti ai datori privati.

Insomma, con l’introduzione della settimana corta non poche incognite si paleserebbero all’orizzonte, tanto da aver spinto alla bocciatura di una proposta pur sostenuta da buona parte del mondo del lavoro.

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