Soldi pubblici dell’Unione Europea per il TAP? No grazie!
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Chi non muore si rivede. Così la pensano i direttori esecutivi della Banca Europea degli Investimenti (BEI), che il prossimo 6 febbraio discuterrano (nuovamente) il prestito da 1,5 miliardi di euro per il gasdotto Trans Adriatico, il famigerato TAP, forse una delle questioni più spinose affrontate dalla banca dell’UE negli ultimi anni.

Sarà stata di nuovo la Commissione europea ad aver spinto perché la discussione avvenga, dopo che lo scorso dicembre i direttori della BEI erano riusciti a farla finire in fondo alla lista delle priorità?

Che le pressioni da (e su) Bruxelles fossero forti era emerso anche qualche mese fa, quando, in seguito a una richiesta di accesso agli atti, la rete europea CounterBalance, di cui Re:Common fa parte, aveva reso pubblica la lettera che il vice presidente Maroš Šefčovič e il Commissario per l’energia Miguel Arias Cañete avevano inviato al presidente della BEI, Werner Hoyer, chiedendo con forza ai piani alti dell’istituzione di favorire la concessione del prestito in tempi rapidi.

Nessuna sorpresa quindi se le pressioni politiche esterne sulla BEI rimangono forti: il prossimo 15 febbraio, a Baku, in Azerbaigian, avrà luogo il quarto incontro dell’Advisory Council per il Corridoio Sud del Gas. In quell’occasione uno dei temi centrali sarà quello dei finanziamenti delle banche pubbliche europee al TAP e al TANAP. Andandoci a mani vuote, il vice presidente Šefčovič rischierebbe un’altra brutta figura.

Anche perché il consorzio TAP ha richiesto il prestito già nell’agosto del 2015, e oltre due anni di attesa la dicono lunga su una situazione politica complessa da cui la BEI forse non sa come uscirne pulita. D’altronde, sono pochi i progetti che, come il TAP, hanno portato la Banca sotto un tale fuoco incrociato di ricorsi, denunce, inchieste della stampa nostrana e internazionale e scandali giudiziari (come quello che ha coinvolto il Consiglio d’Europa e non solo, con al centro l’indagine a carico dell’ex parlamentare italiano Luca Volontè, in attesa di giudizio). Scandali di corruzione e riciclaggio che hanno portato alla luce la rete di relazioni e interessi pervasivi dell’Azerbaigian in Europa, e che mettono seriamente in dubbio la credibilità di istituzioni e uomini politici, ma anche di tutta la narrazione europea sulla “strategicità” di mega opere come il Corridoio Sud del Gas, alla cui utilità collettiva oramai non crede più quasi nessuno.

Ad aggiungere complessità al tutto, c’è il deteriorarsi delle relazioni tra Turchia e Germania e altri paesi membri dell’Unione europea. Già ad ottobre, durante l’incontro dei capi di Stato dell’UE, la Germania aveva chiesto di sospendere il percorso di annessione della Turchia all’Unione europea, sulla base dell’aggravarsi della situazione interna al Paese e della sempre più seria crisi democratica che sta attraversando. La conferma di Angela Merkel alla guida del governo tedesco ha rinsaldato questa posizione, rincarata dalla richiesta del Parlamento europeo a fine novembre di sospendere il programma di finanziamenti alla Turchia collegati al percorso di annessione: un pacchetto da 4,45 miliardi di euro. Così il Parlamento è riuscito a congelare la tranche da 105 milioni di euro dovuta entro fine anno e a sospenderne un’altra da 70 milioni per il 2018.

Non sorprende dunque che anche la BEI abbia deciso di posticipare la decisione sul prestito da 1 miliardo di euro al Tanap, la tratta turca del Corridoio Sud del gas, in attesa che la situazione si risolva in un verso o nell’altro. Ma la grana del TAP rimane: che senso avrebbe finanziare l’ultimo tratto del gasdotto, se il rischio di un fall out politico con la Turchia rimane alto?

In sintesi, non uno ma mille motivi per cui finanziare il mega corridoio del gas potrebbe diventare una rogna di dimensioni epocali per la Bei e le altre istituzioni finanziarie pubbliche e private.

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