Secondo trimestre consecutivo in calo per gli smartphone.
Le quote di mercato
Osservando le quote di mercato, Samsung si conferma primo produttore, con il 21% delle vendite mondiali. Apple segue con il 17%, tallonata da Xiaomi (14%). Più distanti Oppo (10%) e Vivo (9%). Colpisce, in questa classifica, l’assenza di Huawei: tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, il produttore diventato ecosistema era arrivato a superare Apple. Oggi è fuori dalla top cinque.
In Italia, come in molti altri Paesi occidentali, la distanza tra Samsung e la Mela si assottiglia (30,7% contro 29,3), mentre si allarga quella con i marchi cinesi: Xiaomi vale il 15,5% delle vendite, Huawei resiste al 10,4%, seguito da Oppo, con il 5%.
Le difficoltà della “classe media”
Gli analisti indicano all’unanimità i motivi del rallentamento: incertezza geopolitica, crisi economica, l’inflazione che riduce il potere d’acquisto, la volatilità dei cambi. A giudicare da questi fattori, sembra emergere una forte esigenza di risparmiare. È vero solo in parte: i dispositivi di alta gamma, infatti, reggono. A pagare sono quelli di fascia media.
Per passare la buriana con meno danni possibile – ha sottolineato Canalys Research – i produttori “hanno dovuto rivedere le proprie tattiche”, alla luce di “previsioni più caute”. In particolare, stanno “ricalibrando” il proprio portfolio prodotti, limitando lanci e produzione di dispositivi medi, compressi tra due forze opposte: da una parte la tenuta del segmento premium; dall’altra le difficoltà economiche che spingono verso l’acquisto di smartphone di fascia inferiore. In sostanza, quindi, inflazione e stagnazione non portano tanto al risparmio ma alla polarizzazione del mercato.
La frenata cinese
Secondo Idc, le vendite di Samsung nel secondo trimestre sono aumentate del 5,6%. Quelle di Apple sono rimaste in linea con lo stesso periodo dello scorso anno, testimoniando la solidità dell’iPhone 13 alla vigilia del lancio del suo successore. Certo, nessuna performance mostruosa. Ma considerando i blocchi in Russia e le difficoltà produttive, meglio galleggiare che affondare. È chiaro, quindi, che le zavorre del mercato siano altre: i marchi cinesi. Xiaomi, Vivo e Oppo hanno visto evaporare quasi un quarto delle vendite.
Se in Europa sembra pesare il rallentamento economico e il conflitto in Ucraina, in Cina Counterpoint Research ha sottolineato l’emergere di cambiamenti strutturali. Il mercato si sta saturando ed è quindi fisiologicamente destinato ad assumere ritmi di crescita più blandi.
Il ciclo di vita di uno smartphone si sta allungando (secondo un dirigente di Vivo intervistato da Nikkei è addirittura raddoppiato, da 16-18 a 36 mesi). E c’è, infine, uno slittamento verso acquisti più cari: nel segmento premium (oltre i mille dollari), le vendite di Apple in Cina sono aumentate del 147% e quelle di Samsung del 133%. Una miscela che sta penalizzando soprattutto i brand locali, innescando un domino che va ben oltre le casse dei produttori. Gli equilibri mutati nelle vendite di smartphone hanno infatti ricadute (economiche ma anche geopolitiche) lungo tutta la filiera della componentistica.
Un altro anno prima di ripartire
Se il panorama cinese è tra i più movimentati, le difficoltà degli smartphone non si fermano a Pechino. E le ombre sono destinate ad allungarsi al resto del 2022. Strategy Analytics stima che – a fine anno – le vendite si contrarranno del 7-8%, rallentate dagli stessi fattori che hanno condizionato i mesi scorsi. I “venti contrari” si faranno sentire anche “nella prima metà dell’anno prossimo”, per attenuarsi solo nel secondo semestre 2023.