Tribunale dei brevetti a Milano, l’attacco di Francia e Germania
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È un braccio di ferro sulle competenze la trattativa in corso (e per ora in stallo) per portare a Milano non la sede regionale (già prevista), ma una delle tre corti centrali del nuovo Tribunale per il brevetto unitario (le altre due sono a Parigi e Monaco di Baviera). Da un lato, infatti, c’è l’Italia che – facendo valere tutto il “peso” del suo sistema manifatturiero e con tutte le carte in regola per numero di brevetti depositati – ha da tempo candidato Milano a ospitare una delle tre sedi centrali del futuro tribunale (trasferita da Londra causa Brexit) che dovrà dirimere, con sentenze che avranno per la prima volta “giurisdizione” in tutti i Paesi Ue, le liti in materia brevettuale e di tutela della proprietà intellettuale.

Dall’altro ci sono Francia e Germania che, con la fuoriuscita di Londra (essendo la normativa ambigua su cosa fare), avevano deciso di avocare a sè le competenze in materia inizialmente spettanti alla City. E alcune vorrebbero continuare a tenersele.

Più che una questione puramente tecnica o di egoismi, un tema economico. Una stima – di qualche anno fa e forse oggi poco attendibile – valutava l’indotto di ospitare una sede del tribunale per il brevetto unitario (tra servizi diretti e indiretti) in oltre 300 milioni di euro l’anno. Anche perché la sede di Londra era destinata a occuparsi delle liti riguardanti (oltre la metallurgia) soprattutto l’ambito chimico-farmaceutico e biotech. Contenziosi «ghiotti», milionari e complessi.

A metà febbraio, dunque, è giunta la proposta di Francia e Germania: trasferire in Italia sì la terza sede centrale, ma lasciando chimica e metallurgia a Monaco di Baviera, e a Parigi quella quota di brevetti farmaceutici dotati di SPC (certificato di protezione supplementare: in pratica, un certificato che prolunga la protezione brevettuale di un farmaco per consentirgli di recuperare i guadagni “persi” nel tempo trascorso tra il deposito della domanda di brevetto e l’effettiva messa in commercio). In altri termini, almeno il 90% dei farmaci che hanno avuto successo sul mercato. All’Italia resterebbero, così, brevetti sui medicinali senza SPC (poche ed economicamente poco interessanti) e il biotech non farmaceutico.

Non se ne parla. Controproposta italiana (sinora accolta freddamente): nessun problema per la metallurgia a Monaco. Ma ci teniamo la chimica (che alla farmaceutica è legata) e a Parigi solo la quota di brevetti farmaceutici con SPC dove non sia in dciscussione la validità o la contraffazione del corrispondente brevetto di base. In pratica, troviamo un accordo. Il dossier è infatti all’attenzione di tre ministeri (Esteri, Imprese e Made in Italy e Giustizia). E ciascun ministro si è sinora mosso in questa direzione. Ma ieri il Guardasigilli Carlo Nordio – anche per competenza di materia – ha scritto agli omologhi francese (Eric Dupond-Moretti) e tedesco (Marco Buschmann) per tenere il punto sulla posizione italiana.

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