70 milioni per la reindustrializzazione delle tre aree di crisi delle Marche
La Regione Marche ha approvato il bando per sostenere i settori del Made in Italy

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Fabriano (in stallo dal 2010 dopo la disfatta dell’Antonio Merloni), Pesaro (il distretto del mobile, la cui débâcle è stata riconosciuta dalla Regione lo scorso dicembre) e Ascoli, area di crisi complessa (la più grave) tra la Valle del Tronto e la Val Vibrata, dichiarata dal ministro Federica Guidi lo scorso 10 febbraio.

È di ieri la notizia che il Mise, attraverso Invitalia, ha rimodulato e sbloccato 26 milioni di incentivi della legge 181/89 per i 73 comuni tra Marche e Umbra alle prese con il deserto lasciato dalla chiusura dell’Antonio Merloni. Per sei anni l’accordo di programma – allora il plafond era di 35 milioni – è rimasto lettera morta e non un euro è stato speso, «a causa della macchinosità e della rigidità dell’accesso ai fondi, che hanno dissuaso chiunque a investire nella zona appenninica», sottolinea Roberto Ghiselli, segretario Cgil Marche. La speranza è che la versione semplificata dell’accordo ministeriale pubblicato ieri sblocchi dopo sei anni l’impasse (domande dal 1° giugno, almeno 1,5 milioni di spese con agevolazioni che coprono fino al 75% dell’esborso). Nel frattempo la crisi ha sortito per lo meno l’effetto benefico di far sedere attorno a un tavolo, per la prima volta, tutte le associazioni della provincia – Confindustria, Cna, Confartigianato e Confcommercio – per condividere un progetto comune di rilancio del comprensorio: è nato così poche settimane fa il piano “Fabbrica etica diffusa” con l’obiettivo di riportare nel Fabrianese la produzione di beni e componenti che le aziende stanno comprando fuori dal territorio. Un territorio al collasso, dove un’azienda ogni otto ha chiuso, inserito in una provincia che non sta meglio: dal 2007 a oggi l’Anconetato ha perso il 18,4% della ricchezza industriale, 20 punti di export e ha triplicato il tasso di disoccupazione (dati Infocamere, Istat e Unioncamere-Prometeia).

Per l’Ascolano, invece, si è messo al lavoro a inizio mese il team di Invitalia che dovrà definire e attuare il “Progetto di riconversione e riqualificazione industriale del Piceno e della Val Vibrata” (prima area di crisi industriale complessa interregionale in Italia, coinvolge 53 comuni tra Marche e Abruzzo) ed entro tre mesi dovrebbe essere pronta la bozza. Di cifre ancora non si parla, anche perché il contributo ministeriale non sarà a pioggia ma calibrato sui singoli progetti presentati. «Ma Confindustria Ascoli Piceno – dice il presidente Simone Mariani – ha già raccolto tra gli associati 18 piani di reindustrializzazione per 123 milioni di investimenti e oltre 300 nuovi posti di lavoro». Tra finanza agevolata e coperture a fondo perduto (fino al 75% delle spese) è facile stimare l’arrivo di almeno altri 20 milioni di aiuti.

Ulteriori 17 milioni di euro sono stati stanziati per tutte e tre le aree di crisi dalla Regione Marche, grazie ai fondi Por-Fesr 2014-2020. «È questione di poche settimane, stiamo cercando di far confluire in un unico bando tutte le misure per le Pmi volte a promuovere investimenti produttivi e rilancio occupazionale, quindi start-up, reshoring, ampliamenti, diversificazioni», spiega l’assessore alle Attività produttive delle Marche, Manuela Bora.

Per la crisi del Pesarese si aggiungono i 6 milioni del bando regionale appena lanciato per valorizzare il “made in” del comparto legno-mobile, «ma l’impressione è che gli incentivi arrivino tardi», commentano gli industriali. Il secondo distretto del mobile italiano dopo aver perso oltre il 21% del valore e 2.500 imprese in otto anni (con una quota di disoccupati quadruplicata all’11,6%) nel 2015 ha messo a segno un recupero sia dell’export (+11,4%) sia della produzione (+4,1%). Diverso il discorso nell’Ascolano, dove l’addio delle multinazionali richiamate negli anni ’70 dai benefici della Cassa per il Mezzogiorno ha lasciato sul terreno i danni maggiori, a partire dall’assenza di vocazione imprenditoriale locale. Dal 2007 è andato in fumo il 20% del Pil, non compensato né da agricoltura né dai servizi, 600 aziende hanno chiuso, 1.200 persone stanno finendo la mobilità. «La speranza è che parta il polo tecnologico Hub21 (di cui si parla dal 2010, ndr) la consapevolezza è che ci si riempie la bocca di start-up, ma la maggior parte chiude finiti gli incentivi e non crea posti di lavoro», conclude il segretario Cgil di Ascoli, Paola Giovannozzi.

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