A fine 2015 le startup italiane hanno superato quota 5 mila
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E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto InfoCamere sulle aziende innovative iscritte nell’apposito registro previsto dal Decreto Crescita 2.0. Un vero e proprio boom che coinvolge tutto il Paese da nord a sud.

Da una analisi più approfondita dei dati emerge però che non è tutto oro quello che luccica. Nel complesso le startup italiane soffrono di nanismo. La metà circa ha un giro di affari annuale inferiore a 25.000 euro e il numero di addetti medio è pari a 2,8. Il numero complessivo di occupati è di 25300 di cui 19.957 sono fondatori e solamente 5351 dipendenti.

Passare dall’entusiasmo allo sconforto è facile e in tanti sono pronti a liquidare il fenomeno come l’ennesima bolla che sparirà nel giro di qualche anno. Per interpretare nel modo corretto i dati abbiamo chiesto una mano a Emil Abirascid, uno dei massimi esperti italiani di startup e autore del libro “L’innovazione che non ti aspetti”.

“Sono sempre stato critico con i numeri che girano sulle startup italiane – ci racconta – per il semplice motivo che deve essere il mercato a stabilire chi sono le imprese innovative e non un decreto. Nel registro speciale esistente compaiono realtà che esistono solo perché hanno avuto accesso a dei fondi pubblici e non ne compaiono altre che avendo già successo nel mercato non hanno avuto la necessità di iscriversi”.

“E’ un errore – prosegue – valutare il fenomeno da un punto di vista quantitativo. Non è importante avere 5000 startup ma avere aziende di qualità con concrete potenzialità di crescita”. “Seguire un approccio qualitativo e non quantitativo – aggiunge – in Italia è una necessità anche perché i capitali destinati agli investimenti nelle aziende innovative da anni sono sempre gli stessi. Stiamo parlando di 130 milioni di euro che non vanno sprecati con investimenti a pioggia ma con interventi mirati”.

Il ragionamento di Abirascid trova conferma nel confronto dei dati italiani con quelli degli altri principali paesi europei. Restringendo l’analisi non al complesso delle startup ma solamente a quelle che hanno raccolto almeno 1 milione di fondi, emerge che in Italia sono solamente 72 contro le 399 del Regno Unito e le oltre 200 in Francia e Germania.

“Le competenze degli startupper italiani sono di alto livello anche a livello internazionale e questo è sicuramente uno dei punti di forza del nostro ecosistema” afferma. “Ma – prosegue – se non vogliamo sprecare queste potenzialità è necessario puntare solo su quelle meritevoli che hanno davvero reali prospettive di business e quindi occupazione e per farlo bisogna far funzionare il mercato senza le tipiche distorsioni introdotte dall’intervento pubblico”.

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