Banca Marche in subbuglio sulle (troppe) sofferenze

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Non soltanto Monte dei Paschi di Siena e Carige. Tra le banche blindate dalle Fondazioni che stanno attraversando fasi finanziariamente non semplici e che sono costrette a battere cassa tra i soci c’è anche la più piccola Banca Marche, che dopo il consiglio di amministrazione del 14 marzo ha alzato il sipario sul primo rosso di bilancio della sua esistenza, pari a 518 milioni di euro. La perdita, come del resto per la maggior parte degli istituti di credito che hanno presentato conti del 2012 di segno negativo, dipende in larga parte dal pressing della Banca d’Italia sulla contabilizzazione delle sofferenze. Così, sia per questo motivo sia per l’innegabile fase di crisi che l’economia sta attraversando, il peso delle attività deteriorate rispetto al totale dei crediti verso la clientela per Banca Marche è cresciuto dal 9,8% del 2011 al 15,5% del 2012. In tale contesto, il livello di copertura delle attività deteriorate alla fine del 2012 è salito a quasi il 30 per cento.

Sembra, tra l’altro, che ad aiutare i vertici dell’istituto, ossia il presidente Lauro Costa e il direttore generale Luciano Goffi, a fare il punto sulla situazione dei crediti dubbi sia stata Kpmg. E il nome della società di consulenza va pertanto ad aggiungersi alla già nutrita lista di esperti e addetti ai lavori cui Banca Marche si è rivolta in questa fase di emergenza: lo studio legale Bonelli Erede Pappalardo di Milano, che sta verificando l’esistenza di eventuali anomalie o responsabilità nell’erogazione del credito ascrivibili alla precedente gestione della banca, Bain & Co., che sta preparando il piano industriale, e Mediobanca, che sta seguendo l’operazione di aumento di capitale da 250-300 milioni di euro che l’istituto si appresta a varare.

Proprio il progetto predisposto da Bain nelle sue linee guida, secondo indiscrezioni, sarebbe dovuto essere sottoposto all’attenzione del consiglio di amministrazione del 28 marzo, poi saltato “per motivi tecnici”. Tra i principali nodi legati al piano, c’è quello delle dismissioni, che secondo voci potrebbero riguardare la controllata Cassa di risparmio di Loreto (Carilo) e Medioleasing, la quale peraltro nel 2012 ha richiesto l’iniezione di liquidità da parte di Banca Marche. Tra le altre ipotesi che il gruppo presieduto da Costa starebbe valutando in questa fase potrebbero poi esserci l’esternalizzazione dei sistemi informativi e la chiusura di alcune filiali.

Un altro nodo è rappresentato dall’aumento di capitale da 250-300 milioni di euro di cui lo stesso Costa non ha fatto mistero. Il problema, in questo caso, è capire chi finanzierà l’operazione, dopo quella analoga del valore di 180 milioni di euro già chiusa nel 2012. Allora, le tre Fondazioni prime azioniste, Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, Cassa di Risparmio di Pesaro e Cassa di Risparmio di Jesi, che hanno in portafoglio rispettivamente un 22,51% a testa e il 10,78% di Banca Marche, avevano fatto la loro parte, sottoscrivendo la quota di propria competenza per non far scattare la diluizione. E non sembra che, a nemmeno un anno di distanza dal vecchio aumento, i tre enti intendano essere di nuovo della partita. Tra gli altri soci di maggioranza dell’istituto di credito di Jesi ci sono poi Intesa Sanpaolo (5,84%) e la Fondazione Carifano (3,35%), mentre una quota del 32,12% è frammentata tra circa 40.000 piccoli azionisti, per lo più clienti della banca.

Nei giorni scorsi, a lanciare un ancora di salvataggio a Banca Marche è stata l’Associazione azionisti privati, il cui presidente Bruno Stronati ha dato disponibilità ad assecondare le richieste di aumento di capitale giunte dai vertici. A una condizione: di pesare nel consiglio di amministrazione. Qualcuno ha anche ipotizzato che Banca Marche possa interessare a qualche gruppo straniero, Crédit Agricole o Bnp Paribas (attivi in territorio italiano rispettivamente con Cariparma e Bnl). Ma gli istituti esteri hanno smentito tale eventualità. Senza contare che con questi chiari di luna sembra poco realistico ipotizzare che gruppi stranieri possano ambire a mettere le mani su banche italiane.

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