Banche Nordest epicentro degli aumenti

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Il primo fu Pierfrancesco Saviotti. Era ancora gennaio, c’era il gusto del panettone ancora in bocca e il Natale da poco messo alle spalle. Fu lui per primo a rappresentare la nuova epifania bancaria del 2014: mano al portafogli, signori, con gli asset quality review , gli stress test e l’Unione bancaria controllata dalla Banca centrale europea, non si può più scherzare. Il Banco Popolare, di cui Saviotti è amministratore delegato dal dicembre 2008, mandò in cantiere già a gennaio un aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro, aprendo le danze. Dietro son venuti tutti gli altri. E in quella particolare zona d’Italia che è il Nordest, un tempo locomotiva d’Italia, il portafoglio sono chiamati ad aprirlo in molti. Secondo una stima approssimativa, più di trecentomila soci-azionisti.

In fila
Dopo Saviotti — il Banco Popolare sabato scorso ha approvato il bilancio 2013, rinnovando il mandato all’amministratore delegato e al presidente Carlo Fratta Pasini, che guida la banca dal 1999 — è stata la Banca Popolare di Vicenza, presieduta da Gianni Zonin, a lanciarsi nel piano di rafforzamento: un miliardo di euro da chiedere ai soci. E la scorsa settimana si è accodata anche Veneto Banca: 500 milioni cash , più la conversione totale del prestito obbligazionario da 350 milioni in scadenza e la messa in vendita di Bim, la quotata Banca Intermobiliare che dovrebbe fruttare nei disegni della banca, guidata dall’amministratore delegato Vincenzo Consoli, circa 500 milioni di euro. In tre mesi, insomma, tra Verona, Vicenza e Treviso, si chiedono ai soci 3,35 miliardi di euro. Se si considerano anche i 606 milioni che la Popolare di Vicenza ha portato a casa nella seconda metà del 2013, il totale sale a 3,956 miliardi in circa un anno, che diventano 4,456 miliardi freschi portati a capitale nel caso in cui la vendita di Bim, da parte di Veneto Banca, si realizzasse nei termini attesi.
Il tutto senza considerare che nell’area continua a essere un fattore la rete Antonveneta, l’ex popolare divenuta, dopo l’acquisizione del 2007, parte del Monte dei Paschi di Siena, istituto che, per aumenti di capitale, non è secondo a nessuno in questo 2014.
La situazione del credito, in una delle zone più dinamiche d’Italia, dagli anni Ottanta fortemente orientata all’export con una diffusa rete di piccole e medie imprese, riflette inevitabilmente la condizione difficile dell’intero comparto produttivo. Gli errori del passato, quando non si è avuta visione strategica non cogliendo le piene opportunità di una fase espansiva, si scontano adesso, al termine (sperato) di una lunga fase recessiva.
Sofferenze
Le aziende boccheggiano e le banche devono continuamente rivedere al rialzo gli importi delle rettifiche sui crediti concessi: ovvero soldi prestati che difficilmente ritorneranno in banca. Il confronto tra i dati di bilancio delle due banche popolari maggiormente radicate sul territorio — due dei 15 maggiori istituti nazionali, non quotati, ma presto sotto la vigilanza della Banca centrale europea — evidenzia come sia la Popolare di Vicenza che Veneto Banca fatichino nella quotidianità. Vicenza ha chiuso in rosso il bilancio per la prima volta dopo trent’anni (28,2 milioni di perdita).
Veneto Banca ha invece messo in fila il secondo bilancio in passivo, dopo quello dello scorso anno (96,1 milioni di perdita, 35,3 milioni l’anno precedente). Per gli azionisti di entrambi i gruppi è il momento di tirare la cinghia: non ci sarà distribuzione del dividendo questa primavera. Anzi, se si aprirà il portafoglio (l’opzione esiste), sarà per versare, non per incassare.
Pop Vicenza e Veneto Banca hanno poi scelto di radunare i soci nello stesso giorno, il 26 aprile, creando qualche imbarazzo a chi — non sono pochi — ha investito in entrambi gli istituti. Maggior rilevanza avrà l’assise di Montebelluna, dove i soci di Veneto Banca dovranno rinnovare il mandato agli amministratori. Sia Vincenzo Consoli che il presidente Flavio Trinca, se si candideranno, saranno sottoposti al giudizio dell’assemblea che guidano da 17 anni.

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