Banche Recuperati 5 miliardi di utili netti

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D a un anno all’altro, le prime undici banche italiane, recuperano a bilancio più di 5 miliardi e mezzo di utili netti. La differenza tra l’esercizio 2011 e il 2012 è esattamente di 5,565 miliardi, grazie soprattutto all’inversione di rotta di Unicredit e alla tenuta di Intesa Sanpaolo. Ma nel complesso le undici banche perdono ancora più di 2,2 miliardi di euro. Colpa della crisi, non c’è dubbio, ma anche di alcuni comportamenti delittuosi, su cui sta indagando la magistratura, a cui solo recentemente gli istituti di credito stanno ponendo riparo.
Gli utili netti di Unicredit e Intesa Sanpaolo, i maggiori istituti operanti sulla Penisola, non bastano a equilibrare le perdite del Monte dei Paschi di Siena: 2,47 miliardi guadagnati dalle due big, 3,17 miliardi le perdite del Monte. Se poi aggiungiamo che hanno chiuso in perdita anche il Banco Popolare, la Popolare di Milano, Carige e il Credito Valtellinese e che solo il Credem ha visto elevare il livello dei propri profitti, si ha il quadro completo di una situazione che vede Cariparma Crédit Agricole, con 160 milioni di utile netto, terzo gruppo per profitti in Italia.
Un anno dopo
Il 2011 chiuse con la grande pulizia degli avviamenti. L’ultimo esercizio ha scavato più a fondo. Se svalutare un avviamento significa variare in negativo una posta intangibile, come il valore di un marchio, stavolta si è guardato al credito. La pesante congiuntura che sta soffocando l’Italia invita alla cautela. I denari prestati alle famiglie e alle imprese ritornano in banca, sempre più spesso, oltre i termini pattuiti. Talvolta non tornano. Impossibile non tenerne conto, per due ordini di motivi: la richiesta aderenza alla realtà e il fatto che quei denari non sono «della banca» ma dei depositanti, dei correntisti, dei risparmiatori. Anche per questo la Borsa ha salutato l’«operazione pulizia» di Bper e PopMilano con il botto nel giorno in cui i conti sono stati resi pubblici. Ciò non toglie che i crediti deteriorati del sistema aumentano. Considerano le prime 11 banche italiane — i cui risultati vedete sintetizzati nelle tabelle di queste pagine, unitamente agli highlights dei primi tre istituti a controllo straniero operanti nella Penisola — in un anno si è passati da 104,914 miliardi a 126,558 miliardi, con una crescita del 21 per cento.
Le vie d’uscita
È il sistema economico a trovarsi pesantemente sotto pressione, tra l’indifferenza egoista della politica e l’assenza di una soluzione indolore. Per questo le banche hanno iniziato a porre il problema: cosa fare della massa di crediti irrisolti? Una bad bank in cui far confluire tutte le posizioni scomode? La cartolarizzazione? Talune cercano tutela attaccando gli antichi condottieri: il Monte dei Paschi chiede conto a Mussari, Vigni e Baldassarri. Davanti a loro si presenta anche il conto della Banca d’Italia: sanzione di 516 mila euro per i primi due, di 387 mila per il terzo. Una strada che intendono percorrere anche altri istituti, di diverse dimensioni. La Banca delle Marche, presieduta dal maggio scorso da Lauro Costa, è il primo istituto di una delle regioni a maggior vocazione imprenditoriale del Centro Italia. Con alle spalle un aumento di capitale da 180 milioni chiude il 2012 con una perdita di 527,7 milioni di euro e crediti deteriorati in crescita del 44,8 per cento a 3,412 miliardi, tanto che alla prossima assemblea del 30 aprile, su proposta del socio Fondazione Cr Macerata (primo azionista con il 22,51 per cento del capitale, stessa quota della Fondazione Cr Pesaro, mentre Cr Jesi è al 10,78 per cento), verrà votata l’azione di responsabilità nei confronti dell’ex consiglio di amministrazione della banca, del collegio sindacale e dell’ex direttore generale Massimo Bianconi. Comportamenti legittimi, che però sollevano qualche dubbio sull’efficienza fattuale del sistema di governance interna e sull’efficacia dei controlli esterni. Tanto più che sia Mussari che Bianconi hanno guidato i rispettivi istituti per anni, non per settimane.
Futuro prossimo
Il futuro è già iniziato. Le pesanti svalutazioni messe a bilancio e i dividendi distribuiti con parsimonia, spianano la strada per una ripresa futura, che deve però concretizzarsi fuori dagli istituti di credito, non al loro interno. Le banche di maggiori dimensioni sono state le prime a muoversi, anche vendendo parte del superfluo: è il caso di Unicredit in Polonia e della generale razionalizzazione degli sportelli sul territorio italiano (oltre 200 chiusure per il Monte dei Paschi, gestione Viola). Nelle prossime settimane — chiuso il primo trimestre dell’anno senza alcuna inversione significativa alla tendenza negativa — si profilano tre appuntamenti di rilievo. Il più in là nel tempo è l’assemblea straordinaria chiamata a votare la trasformazione in società per azioni della Popolare di Milano (vedi intervista a fianco).
Prossime invece le adunanze di Intesa e Ubi. Intesa è chiamata il 22 aprile a rinnovare i consigli del sistema duale. La macchina della rappresentatività territoriale si è messa in moto da mesi e tutto lascia supporre che il vertice, rappresentato dal presidente del consiglio di Sorveglianza, Giovanni Bazoli e dal consigliere delegato Enrico Tomaso Cucchiani, verrà riconfermato.
Più complessa la situazione in Ubi. Il gruppo ha consolidato alcune attività, fondendo ad esempio Centrobanca e si avvia a una assemblea molto vivace (20 aprile) che segnerà l’uscita di scena di Emilio Zanetti, da decenni «il» banchiere di Bergamo. La sostituzione di Zanetti e del bresciano Corrado Faissola, mancato lo scorso dicembre, cambierà il volto a un gruppo federale che, a dispetto di alcune nette divisioni interne, è diventato per ricavi la quarta banca italiana.
È un momento di forte discon- tinuità, ma c’è il rischio di gettare il bimbo con l’acqua sporca.

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