Con Berneschi si chiude il cerchio attorno alla Liguria che contava

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L’arresto di Giovanni Berneschi nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Genova per una serie di reati (concorso in associazione per delinquere, truffa con l’aggravante della sussistenza di delitti contro il patrimonio, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori) segna la fine di un potere che nel capoluogo ligure e soprattutto in Banca Carige aveva resistito per più d’un quarto di secolo. E chiude il cerchio del tracollo di un sistema politico, economico, lobbistico e religioso trasversale che si poggia su tre capisaldi. Primo: l’indiscussa leadership di Claudio Scajola su parte della Liguria, ossia l’area di Imperia e Savona (guarda caso Carige controlla la cassa di risparmio delle due città), definitivamente mandata in archivio con le inchieste che sull’ex plenipotenziario di Forza Italia si stanno cumulando nel corso di questi ultimi anni e che lo hanno cancellato dallo scacchiere politico regionale e nazionale. Secondo: la caduta agli inferi del cardinale Tarcisio Bertone, potente segretario di Stato di Sua Santità fino all’ottobre scorso, arcivescovo emerito di Genova e pure camerlengo di Santa Romana Chiesa, demansionato da Papa Francesco e coinvolto, secondo quanto riportato nel giorno scorsi dal quotidiano popolare tedesco Bild, in un’operazione anomala tra lo Ior, ossia la banca vaticana, e la casa di produzione Lux Vide della famiglia Bernabei, da sempre vicina all’Opus Dei. Ior che tra l’altro rappresenta ancora una ferita aperta per la Fondazione Carige, impegnata in questi giorni in un complicato progetto di dismissione di buona parte della partecipazione di controllo (era il 46%) nella banca per ripagare debiti e restare azionista dell’istituto. Sui rapporti tra l’ente di derivazione bancaria e l’istituto vaticano sta tuttora vigilando il ministero delle Finanze, che ha chiesto lumi – e ancora non ottenuto risposte definite – su un’operazione da 100 milioni fatta alcuni anni fa e ancora tutta da chiarire. Terzo e dulcis in fundo, gli arresti domiciliari di Berneschi, il ragioniere che in mezzo secolo di presenza, dallo sportello all’ufficio più prestigioso e importante della banca che domina la città e la Liguria intera (senza trascurare un ruolo di rilievo nel sistema creditizio dell’alta Toscana), ha costruito di fatto la Carige e l’ha portata fino a divenire il sesto gruppo bancario italiano. Magari, come potrebbe dimostrare l’inchiesta in corso, con operazioni non del tutto lecite. E dopo che per anni lo stesso ex presidente dell’istituto (tutt’oggi riconfermato vicepresidente dell’Abi, l’associazione di categoria) aveva negato ogni addebito. Ma non va neppure trascurato che Berneschi, assieme ai familiari più stretti (anche la nuora Francesca Amisano è stata colpita dall’ordinanza della Procura), è a capo di un patto di sindacato misto che ha in mano il 6% di Carige e vede coinvolte le coop locali, imprenditori del calibro della famiglia Gavio e le Fondazioni azioniste di minoranza delle banche toscane che rientrano nel perimetro del gruppo creditizio genovese. Posizioni tutte da chiarire e definire proprio per dare un futuro più serio e solido alla banca, che è, e resta, il polmone di una regione asfittica dal punto di vista industriale – di fatto il gioiellino è la Ansaldo Energia, ora al 40% dei cinesi – e che si regge sul traffico marittimo e il porto. Proprio la scarsa strategicità all’interno dello scacchiere del credito nazionale non facilita la situazione né il compito di Castelbarco Albani e Montani. Difficile trovare investitori così fortemente attratti da una Carige che domina nella regione più anziana d’Italia, Paese a sua volta dall’età media più elevata d’Europa. Ecco perché in tutti questi anni le grandi famiglie imprenditoriali locali, Malacalza, Garrone e poco altro, si sono tenute ben a distanza dalla banca. Mai fidarsi troppo del vicino.

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