Carlo Calenda ha annunciato l’inserimento del Veneto tra i «competence center» italiani
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Eppure in quelle tredici pagine dal titolo «Venice Innovation Hub, for re-startup manufacturing» firmate dai quattro rettori del Veneto: Rosario Rizzuto (università di Padova, la capofila), Michele Bugliesi (Ca’ Foscari di Venezia), Nicola Sartor (università di Verona) e Alberto Ferlenga (Iuav), c’è il cuore della proposta che ha convinto il governo ad investire nella nostra regione, quella «rete tra atenei» che sarà il braccio operativo del «competence center» a lungo inseguito e infine ottenuto grazie ad un’azione di lobbying che ha visto fianco a fianco, forse per la prima volta, università, industriali e politica. «Da qui – si legge nel dossier – può partire il nuovo Rinascimento, industriale e culturale, del (Tri)Veneto». L’obiettivo dell’hub, che ha sede al Vega di Marghera, è quello di «supportare le imprese del territorio nei processi di trasformazione e innovazione basati sullo sfruttamento delle nuove tecnologie, favorendo l’accesso ai centri di competenza, ai nuovi mercati e alle fonti di finanziamento».

Insomma, si vuol garantire alle aziende del Veneto (e non solo, visto che già si prefigura l’allargamento alle università di Trento e Bolzano, di Udine e Trieste e alla Sissa) «l’accesso alle migliori competenze» facendo incontrare tecnici, startupper, studenti, ricercatori nei fab-lab, dove si organizzeranno i corsi di formazione, nelle fabbriche dimostrative e nei laboratori, nelle linee di produzione pilota. Saranno coinvolte le piccole imprese, che tanto faticano nella trasformazione digitale, ma anche le imprese consolidate che avrebbero bisogno di rinnovare il loro modello di business o vorrebbero sviluppare al loro interno una start-up innovativa, chissà, magari da vendere all’estero. Le aree d’intervento individuate sono cinque: Agroalimentare, Abbigliamento, Arredo-casa, Automazionemeccatronica, Ambiente (le «cinque A»); il modello è quello di SetSquared, Bristol, Inghilterra (un giro sul sito di quest’ultimo può aiutare a farsi un’idea di quel che dovrebbe diventare il Venice Innovation Hub-Vih). Che cosa farà questo hub fondato sui «competence center »? Essenzialmente tre cose: informazione; formazione; accelerazione e internazionalizzazione delle re-startup.

L’informazione avverrà nel Trend & Business Lab, il luogo in cui si studieranno i modelli di business delle imprese di successo (cui ispirarsi) ma soprattutto si proveranno ad anticipare trend tecnologici e socio-culturali, per poi diffonderne i risultati tramite eventi pubblici come i Nova Open Innovation Days, workshop, forum per Ceo selezionati, sulla scia di Biennale Innovazione. La formazione si svolgerà nel Contamination Lab, dove è prevista l’attivazione di un master universitario inter ateneo di primo livello, e si svilupperà la ricerca tecnologica, di design, strategica e di mercato, con attenzione particolare ai fenomeni della sharing economy e del peer-to-peer, a figure come il prosumer, al confine sempre più sfumato tra realtà online e offline. Infine, accelerazione e internazionalizzazione verranno fatte nel Transformation Lab (va detto che nel dossier c’è una certa propensione all’anglofonia) dove un comitato tecnico scientifico composto da imprenditori, manager, investitori e ricercatori sceglieranno due volte l’anno 12 startup ritenute «utili» al nostro tessuto produttivo, anche estere (si vorrebbero infatti attrarre menti brillanti provenienti da tutto il mondo, sull’esempio di Startup Chile), per programmi di sviluppo di 12 settimane. Le idee, insomma, non mancano. Ora si dovrà capire come finanziarle. E poi non resterà che partire, sperando di non ripetere gli errori di Univeneto.

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