Carlo Messina partirà per un nuovo road show negli Stati Uniti
Intesa Sanpaolo presenta il suo nuovo grattacielo a Torino accedo

Articolo del

Obiettivo: consolidare i legami con quella parte di azionariato diventata sempre più importante dentro a Intesa Sanpaolo, come confermato ieri: a dispetto di un ordine del giorno non dei più appetitosi, il 60% del capitale depositato in assemblea faceva capo a investitori istituzionali non italiani, migliorando il record dello scorso anno (52%). D’altronde oggi i fondi esteri hanno in mano regolarmente una quota che oscilla tra il 58% e il 60% circa del capitale della banca; e la forchetta è destinata ad allargarsi, considerata la riforma firmata la settimana scorsa dall’Acri con il Mef, che vedrà ridursi il peso delle Fondazioni, costrette a ridurre al 33% del patrimonio l’esposizione sulla conferitaria entro i prossimi tre anni.
Allora, è probabile, la banca sarà un po’ diversa. Per lo meno dal punto di vista della governance. Perché il processo di revisione, come ha dichiarato ieri il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Giovanni Bazoli procede: la commissione da lui presieduta «si è già riunita dieci volte e si è impegnata a formulare una o più proposte al Consiglio di Sorveglianza entro la fine di giugno».

A quel punto, ha ricordato il professore, l’organo farà le sue scelte in modo da inviarle in Bce e poi sottoporle ai soci: «Possiamo assicurare che rispetteremo tutte le scadenze necessarie al fine di convocare un’assemblea straordinaria in tempo utile per poter utilizzare il nuovo statuto per l’assemblea ordinaria», cioè quella che tra un anno sarà chiamata a rinnovare gli organi.
Duale, tradizionale o uno dei tanti ibridi possibili, per ora nessuna decisione è stata presa («Non ci sono orientamenti, siamo in una fase di ricognizione»), ma il chiarimento fornito da Bazoli non è stato irrilevante. Anche perché a porre la questione era stato il presidente della Compagnia di San Paolo, Luca Remmert, primo azionista con il 9,38% e primo a intervenire ieri in assemblea: «Ribadiamo l’auspicio perché il processo di revisione venga completato nei modi e nei tempi più adeguati, nell’interesse della Banca e dei suoi azionisti, così da garantire tra l’altro un lineare svolgimento dei momenti deliberativi», ha dichiarato Remmert, non prima di aver formulato il suo apprezzamento per il dividendo e quel che sta «a monte», cioè il piano Messina, e di aver confermato che la Compagnia – pur costretta ad alleggerire la sua quota – continuerà a essere «azionista di rilievo».
La riforma, come anticipato, lascia tre anni di tempo alle Fondazioni per vendere le proprie quote in eccesso. E dai soci – oltre a Remmert ieri erano presenti tra gli altri i presidenti di Fondazione Cariparo, Antonio Finotti e dell’Ente Cr Firenze, Umberto Tombari – non emerge la volontà di uscire in fretta, viste le soddisfazioni date dal titolo, raddoppiato negli ultimi 18 mesi, e quelle attese di qui ai prossimi tre anni di piano: «Siamo la banca leader mondiale per crescita del prezzo di Borsa», ha ricordato il ceo davanti ai soci, rispolverando uno dei suoi tradizionali cavalli di battaglia. Indici alla mano, un anno fa il titolo valeva 2,4 euro, ieri ha chiuso (in rialzo del 2,6%) a 3,15 euro sulla scia di un piano d’impresa varato a marzo 2014 che promette 10 miliardi di dividendi in quattro anni: ieri, con un voto pressoché plebiscitario, è stata approvata la prima maxi cedola da 1,2 miliardi a valere sul passato esercizio, ma proprio davanti ai soci per la prima volta Messina si è sbilanciato su quello in corso, preannunciando che «siamo in grado di confermare i 2 miliardi con assoluta tranquillità».
I conti si faranno tra due settimane esatte con la prima trimestrale, ma intanto «l’inizio del 2015 ha mostrato un infittirsi dei segnali positivi, che ci sembra di buon augurio per la continuazione del cammino di crescita su cui ci siamo impegnati», ha detto il presidente del Consiglio di Gestione, Gian Maria Gros-Pietro, sottolineando che la scelta di fondo resta quella della redditività sostenibile, la stessa che ha ispirato peraltro il grattacielo torinese dove ieri per la prima volta si sono riuniti i soci. Concetto ribadito poco dopo dal presidente del Consiglio di Sorveglianza, Giovanni Bazoli: «Il nostro impegno, l’impegno della nostra banca è davvero a sostegno dell’economia reale in un’ottica di creazione di valore di lungo periodo».
Tradotto in pratica, ha ricordato il ceo, c’è stata la scelta di valorizzare all’interno del gruppo i 4.500 potenziali esuberi, e poi quella di premiare il capitale umano con il piano di azionariato diffuso, approvato anch’esso in assemblea con percentuali bulgare insieme al piano di remunerazione del management, cui ha aderito anche il 98% degli istituzionali; altro versante, il credito: i 37 miliardi a medio-lungo periodo cui si punta del 2015, di cui 8 già stanziati nel primo trimestre (4 solo a marzo). Poi, il progetto grande Fideuram: qualche socio ha chiesto notizie su un’eventuale quotazione, ricordando quanto fatto da UniCredit con Fineco o quanto sta per fare Fca con Ferrari, ma Messina ha ribadito che per ora nulla è sul tavolo: «Abbiamo eccesso di capitale, ne avremmo uno ulteriore per di più rinunciando a quota di utili, quindi ha senso farlo solo in caso di M&A».

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI