Continua il tiro alla fune tra ottimisti e prudenti sul mercato azionario americano
I ribassisti hanno perso martedì scorso l’occasione per il colpo da KO ed anche ieri, nonostante sia pressoché tramontata la possibilità che il piano di stimoli veda la luce prima delle elezioni, la spinta ribassista si è esaurita quasi subito, prima delle ore 17, quando la rottura del minimo di lunedì scorso è durata solo pochi minuti ed ha attirato acquisti sufficienti a generare un corposo rimbalzo in grado di riportare in positivo l’indice e generare una chiusura dignitosa.
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I ribassisti hanno perso martedì scorso l’occasione per il colpo da KO ed anche ieri, nonostante sia pressoché tramontata la possibilità che il piano di stimoli veda la luce prima delle elezioni, la spinta ribassista si è esaurita quasi subito, prima delle ore 17, quando la rottura del minimo di lunedì scorso è durata solo pochi minuti ed ha attirato acquisti sufficienti a generare un corposo rimbalzo in grado di riportare in positivo l’indice e generare una chiusura dignitosa. In questo modo l’indice delle maggiori 500 società americane ha scampato il pericolo di un immediato nuovo segnale di continuazione ribassista, che avrebbe fatto forse vacillare il morale della truppa dei Robinhooder, i trader d’assalto con pochi soldi e tante speranze di farli, che forse anche ieri hanno contribuito non poco al sostegno dell’indice, accumulando posizioni proprio sul supporto.

Il rimbalzo ha portato SP500 a breve distanza (poco più di 20 punti) dalla trendline ribassista che unisce i due massimi relativi discendenti del 12 e del 16 di ottobre e gli ha consentito di tornare nella terra di nessuno che si pone fra il minimo (3.420) ed il massimo (3.502) della lunga candela ribassista di lunedì scorso.

In questa posizione attendista i mercati si sono accomodati in poltrona per assistere in serata (cioè piena notte europea) al secondo ed ultimo dibattito tra i due avversari della corsa presidenziale USA.

Chi si aspettava fuochi artificiali deve essere rimasto deluso. A portare un po’ di civiltà è stata la regola di spegnere i microfoni del candidato che non stava parlando, il che ha reso inutile ogni tentativo di interruzione aggressiva. Il dibattito è stato così molto diverso dalla rissa verbale del primo faccia a faccia ed ha fatto notizia l’atteggiamento quasi gentile di Trump, che non ha neppure calcato troppo la mano sui presunti affari sporchi in Ucraina del figlio di Biden, diventato ultimamente la carta più giocata per delegittimare l’avversario. Non ha neppure esagerato con le parole grosse, limitandosi alla comica affermazione che la pandemia sta per finire ed il vaccino sta per arrivare, nel giorno in cui sono stati comunicati oltre 74.000 nuovi contagiati negli USA e la curva dei contagi quotidiani è tornata sui massimi del luglio scorso.

Biden non ha avuto problemi a tenere basso il profilo. E’ la sua indole naturale. Ha giocato in difesa, dall’alto del vantaggio che i sondaggi gli attribuiscono, puntando più a non commettere passi falsi che ad attaccare.

Ne è uscito un dibattito quasi soporifero, che non dovrebbe spostare molti voti. Il rush finale della campagna elettorale si giocherà a questo punto con gli assi nella manica che verranno calati dai candidati nel week-end.

Saranno probabilmente assi di fango, per cercare di accalappiare qualche voto col pettegolezzo ed il complottismo. E’ curioso che invece di sfidarsi sui temi che interessano il benessere della gente i due si scambino reciprocamente accuse di essere pedine dei nemici dell’America: Biden dice a Trump di essere il pupazzo di Putin e l’amico di Kim Jong-un, Trump accusa Biden di essere sponsor della Cina. Mi sa che gli americani dovranno aspettare un altro giro per vedere un candidato amico dell’America.

L’Europa soffre l’aggressione del virus, che negli ultimi giorni ha permesso ai politici di ripassare un po’ la matematica e sperimentare il significato della progressione esponenziale.

L’allarme dei governi si percepisce chiaramente, alle prese con la difficile quadratura del cerchio che comporta l’attuazione di misure di repressione della mobilità che siano efficaci contro il virus e non contro l’economia. Avanza l’aspettativa di un sensibile rallentamento della ripresa, quando non addirittura di una seconda gamba recessiva invernale nel vecchio continente.

Le borse dell’eurozona sono deboli e ieri, dopo un tuffo ribassista iniziale, solo grazie al traino del rimbalzo di Wall Street sono riuscite a contenere le perdite vicine alla parità (Eurostoxx50 -0,3% e FtseMib -0,05%).

Ma non si può pensare che l’America riesca a cavare sempre le castagne dal fuoco all’Europa.

Anche perché ho la sensazione che il Nasdaq stia entrando in una fase di prese di beneficio un po’ pericolosa. A differenza di altre volte le buone trimestrali dei pochi colossi che le hanno finora presentate sono state viste non di rado come occasione per portare a casa i guadagni (sell the news). Dato il peso della tecnologia non è certo un buon auspicio per l’immediata ripresa del rialzo.

Perplessità arrivano anche dall’Asia, che non riesce ad approfittare della sua momentanea indennità al virus per mostrare rialzi significativi.

Tutto spinge alla prudenza, necessaria quando ci si avventura nella terra di nessuno.

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