Così il ciclone Greco ha cambiato volto al vecchio Leone

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Nel 1996 Il Ciclone di Leonardo Pieraccioni spazzò l’Italia e portò a casa, dal botteghino dei cinema, l’equivalente di 38,7 milioni di euro, 75 miliardi di lire. Diciassette anni dopo, il Ciclone di Mario Greco, tutt’altro che un film, in undici mesi ha spazzato Generali, cambiando volto al vecchio Leone di Trieste. Ha venduto, comperato e soprattutto ha ricomposto la squadra dei manager, mettendo in cassa qualcosa come 22,2 miliardi e facendo guadagnare al titolo oltre il 30 per cento dal suo arrivo al posto di Giovanni Perissinotto.
I parallelismi tra Pieraccioni e Greco — abitanti di mondi diversi — non finiscono qui. Il film che Pieraccioni sta realizzando ad Arezzo e che uscirà a Natale s’intitola Un fantastico via vai, e che cos’è quello che ha messo in piedi l’amministratore delegato delle Generali se non un altrettanto fantastico via vai?
Undici mesi al galoppo
L’uscita di scena di Perissinotto, con il colpo di scena alla vigilia dell’assemblea del 2012 e la sfiducia di una parte consistente dell’azionariato, avvenne nel segno di una richiesta precisa da parte di alcuni dei grandi soci del Leone: maggiore redditività e una governance allineata ai migliori standard internazionali. Greco questo ha fatto e sta facendo. Perché se la scorsa settimana è stata scossa dalla rivelazione che Raffaele Agrusti — uno dei punti di riferimento dell’intero gruppo assicurativo negli ultimi trent’anni, già capo della finanza e uomo di assoluta fiducia all’epoca della lunga gestione Perissinotto — non sarà per molto ancora, come tutto lasciava supporre, il responsabile del Progetto Generali Italia, che prende il via quest’oggi, altre sono le tappe attraverso cui Greco vuol far maturare la compagnia che ha in testa.
Finora il ceo del Leone ha proceduto con passo spedito. Ha istituito il Group management committee e ha dato il via alle vendite. A settembre ha ceduto l’israeliana Migdal per 705 milioni (sostanzialmente il prezzo di carico), poi ha proceduto vendendo una quota di Banca Generali (mantenendone il 51,5 per cento) che ha fruttato entrate per 185 milioni (143 di plusvalenza); ha ceduto le attività di riassicurazione Vita negli Stati Uniti (700 milioni di ricavi, 150 di plusvalenza) e più recentemente le partecipazioni minoritarie in Messico ricavandone quasi 650 milioni, di cui circa 500 di plusvalenza. Il totale, a ora, è di circa 2,2 miliardi — su 4 totali da realizzare entro il 2015 — che hanno contribuito a finanziare l’acquisizione del 76 per cento delle attività detenute in Gph, uno dei maggiori assicuratori del centro-Europa, dal magnate ceco Petr Kellner, mentre la quota restante entrerà nel perimetro di Generali nella seconda metà del 2014.
Da Lugano a Hong Kong
Molte strade restano da percorrere. Una di queste è la vendita della controllata luganese Bsi, nata come Banca della Svizzera Italiana e trasformata negli anni in unplayer internazionale, particolarmente apprezzato sui mercati del lontano Oriente. A Hong Kong, Bsi potrebbe trovare compratori estremamente interessati e anche se a Trieste non è mai stata compilata la lista delle società poste in vendita, Bsi è sufficientemente lontana dal core business assicurativo e sufficientemente capace di attirare interesse, che dovrebbe poter cambiare azionista di riferimento in maniera abbastanza rapida.
Tra le compagnie poste in vendita, vi è anche Fata, il Fondo assicurativo tra agricoltori. All’acquisizione sarebbe interessata la veronese Cattolica assicurazioni e la trattativa, portata avanti proprio da Agrusti negli ultimi mesi sarebbe giunta alle battute finali. Al punto che, secondo alcune fonti interne, della cessione di Fata si sarebbe decisa nel prossimo consiglio di amministrazione delle Assicurazioni Generali, previsto per venerdì 5 luglio. La trattativa, alla quale ha posto attenzione anche l’Ivass, adesso rischia di subire un inatteso rallentamento proprio per l’improvvisa decisione che vede Agrusti defilato nel medio periodo rispetto al business del mercato italiano, che potrebbe essere affidato a Camillo Candia, oggi in Zurich Italia, medesimo gruppo da cui è arrivato Greco. Come finirà? Il Fata è un asset importante per le Generali, ma la radice che affonda nel mondo dell’agricoltura lo rende particolarmente interessante anche per Cattolica, il cui presidente, Paolo Bedoni, è stato presidente di Coldiretti.
La lezione e la svolta
Il ruolo che il gruppo intende recitare in Italia è al centro di questo ridisegno firmato da Greco. Il mercato domestico, nelle intenzioni, dovrebbe migliorare quanto a efficienza e redditività, visto che le attività italiane rappresentano, al momento, un quarto dei premi totali e il 36 per cento del risultato operativo. Per raggiungere gli obiettivi in Italia, Greco ha predisposto un piano di riorganizzazione che varrà circa 300 milioni di investimenti e che prevede il coinvolgimento di circa 5 mila dei 14.100 dipendenti totali del gruppo. Generali Italia, che formalmente nasce oggi, vedrà la fusione delle attività tra Ina Assitalia e la direzione Italia del gruppo. Nel terzo trimestre dell’anno, Toro verrà fusa in Generali Italia, mentre Fata — qualora non venisse ceduta — verrebbe assorbita nel corso del 2014. Alleanza cercherà poi di sbilanciarsi nel ramo Danni, mentre Genertel sarà il riferimento sia per i Danni che per il ramo Vita di tutti i canali alternativi, dal telefono al web, fino allabancassurance.
Della svolta impressa da Greco si stanno accorgendo anche gli analisti finanziari. Particolarmente ottimista Kepler Cheuvreux, che ha ripreso la copertura sul titolo Generali con la raccomandazione «comprare» e un prezzo obiettivo di 16 euro. Secondo Kepler Cheuvreaux: «Dopo 10 anni di buio, i fuochi di artificio sono iniziati».

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