Cuccia e le radici dei patti di sindacato «Salvarono i privati dalla politica»

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«I patti di sindacato» che molti criticano alla Mediobanca di Enrico Cuccia «servirono a salvare Fiat, Olivetti, Pirelli dall’arrivo del pubblico, cioè dalla presa di possesso da parte della politica. La difesa della Fiat non è stata la difesa della famiglia Agnelli ma di un baluardo dell’impresa privata», altrimenti destinata a scomparire. Giorgio La Malfa ha sottolineato ieri il ruolo centrale dell’istituto a sostegno dell’industria e dello sviluppo italiano nel corso della presentazione del suo «Cuccia e il segreto di Mediobanca» (edito da Feltrinelli), da oggi nelle librerie.
Al dibattito, organizzato dalla Fondazione Corriere della Sera, era presente un parterre d’eccezione. In prima fila con Pietro Beniamino e Silvia Cuccia, figli del fondatore di Mediobanca, il figlio del «delfino» e successore Vincenzo Maranghi, Piero, con la madre Anna e la moglie di Francesco Cingano, Bruna, l’amministratore delegato dell’istituto Alberto Nagel, l’imprenditore Marco Tronchetti Provera, il vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona, l’editore Carlo Feltrinelli.
È stato Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione, a introdurre i lavori e a porre fra i temi aperti quello del «ruolo» dell’istituto: «Cuccia ha difeso lo sviluppo dell’imprenditoria o l’ha posta in una eccessiva “camera di protezione” che l’ha resa poco permeabile alla concorrenza?». Un interrogativo ripreso anche dal direttore del «Corriere» Ferruccio de Bortoli che ha ricordato l’articolo di Libero Lenti sul «Corriere d’informazione» titolato «Credito all’industria» e pubblicato il 9 aprile 1946, il giorno prima cioè della nascita di Mediobanca, che ne annuncia appunto la costituzione.
E dopo che l’economista Giangiacomo Nardozzi ha sottolineato che «il lavoro di Cuccia era al servizio dello sviluppo guardando al lungo periodo», La Malfa ha ripreso la tesi di fondo del suo libro: Mediobanca è stata creata per sostenere l’industria italiana e l’idea di Raffaele Mattioli condivisa da Cuccia era di ricreare «la Comit di Giuseppe Toeplitz senza gli errori di Toeplitz», che hanno poi contribuito a portare al tracollo delle banche e alla creazione dell’Iri. Nel suo core business fin dall’inizio c’era anche l’acquisto di partecipazioni, che rende più stretto il rapporto con le imprese. Facoltà che non è stata all’origine del confronto fra Mattioli e Cuccia, il cui focus invece è stata l’autonomia dell’istituto difesa dal numero uno della banca d’affari anche nei confronti dei suoi azionisti.
E Cuccia, che pur proviene dall’Iri, coltiva una crescente avversità per il settore pubblico, poiché lo vede sempre più dominato dalla politica, che lancia l’assalto anche alla stessa Mediobanca. Dice La Malfa: «A partire dagli anni Cinquanta Cuccia vede il pubblico come un “cancro”. La Dc con Amintore Fanfani dilaga nell’economia e vuole aumentarne a tutti i costi la propria presa. Mediobanca diventa dunque il baluardo dell’industria privata».

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