Che i dati siano il petrolio o la valuta dell’era digitale è un concetto ormai noto
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L’etichetta di “dato come un farmaco”, invece, è decisamente originale e pone sotto i riflettori una serie di ragionamenti sul valore delle informazioni di business secondo un’altra prospettiva. È questo il paragone azzardato da Evan Levy, vice president of data management programs di Sas, durante la tappa di Milano del Roadshow 2017 della software house statunitense. Un’azienda che, da sempre, ha al cuore il dato nelle sue molteplici sfaccettature e che, ancora una volta, lo ha ricordato a clienti e partner. Ma cosa intende Levy, che tra le altre cose è anche visionario e autore di successo, con il suo paragone medico? “Come un farmaco si assume solo con una prescrizione e rispettando il dosaggio preciso, anche il ‘consumo’ di dati all’interno delle organizzazioni dovrebbe seguire certe regole”, spiega il manager.

Questo, però, presuppone che le imprese abbiano implementato in precedenza rigide strategie di governance e di gestione delle informazioni. “Ma oggi vediamo che non è affatto così”, aggiunge Levy, “molte aziende sono indietro da questo punto di vista”. Come fare allora? “Bisogna innanzitutto dire che non esiste una strategia unica per tutte le realtà, ma ogni progetto dovrebbe comunque basarsi su cinque componenti fondamentali”.

La prima fase coincide con l’identificazione dei dati per capirne il vero significato, in modo indipendente da struttura, origine e posizione. Segue poi il provisioning, vale a dire “pacchettizzare le informazioni e renderle disponibili rispettando regole e linee guida sugli accessi”. Il terzo step ha a che fare con il governo dei dati: stabilire e comunicare le policy interne, insieme ai meccanismi necessari per assicurare un utilizzo efficace delle informazioni.

La fase di archiviazione prevede invece la realizzazione di un’infrastruttura che garantisca l’accesso e l’elaborazione dei dati attraverso tutta l’impresa. Infine si ha la componente d’integrazione, che permette di spostare e combinare le informazioni memorizzate in luoghi diversi, fornendo ai vari team una vista unificata delle stesse.

I cinque “pilastri” di una corretta data strategy introducono però anche il tema delle competenze, fondamentali per governare questo processo e più in generale la trasformazione digitale in atto. “Nel nostro Paese oggi abbiamo circa duecento data scientist, ma saranno duemila nel 2018 e ventimila nel 2020”, afferma Marco Icardi, amministratore delegato di Sas Italia. “Numeri che sottolineano l’attenzione sempre maggiore che le aziende riserveranno all’analisi dei dati”.

Ma servono anche piattaforme in grado di regolare l’intera filiera, “che sappiano avvicinarsi al mondo dell’open source e al cloud, integrandosi tramite Api verso altri sistemi”, rimarca Icardi, “anche se può rivelarsi una strategia rischiosa, perché aprirsi significa scoprirsi. È quindi necessario implementare soluzioni di sicurezza efficienti”.

Un esempio è Sas Viya, architettura unificata con funzionalità centralizzate di analytics per una gestione end-to-end del dato, dall’esplorazione al risultato finale. Grazie alle Api, si tratta di una piattaforma aperta ad altri linguaggi come Python e basata su microservizi, che ne facilitano l’implementazione e la manutenzione. Infine, Viya sa adattarsi ai vari ambienti e funzionare sia in cloud sia on-premise.

 

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