Nuovo decreto crescita: più credito per le PMI (ma non è ancora abbastanza)

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Chiuso il capitolo delle elezioni europee il governo è pronto a rimettersi al lavoro.

L’agenda del Consiglio dei Ministri di questa settimana prevede l’approvazione di un nuovo Decreto Crescita volto a sostenere la competitività delle PMI italiane e ad assicurare loro maggiori finanziamenti. Le direttrici di riforma sono quattro: misure per incentivare la patrimonializzazione delle imprese, rafforzamento dei canali di credito, riduzione dei costi dell’energia e misure infrastrutturali volte alla diffusione delle reti a banda larga.

Il punto di partenza sarà il potenziamento dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica), introdotto per la prima volta nel decreto Salva Italia (decreto legge 201/2011, Governo Monti). Le novità in arrivo a giugno consisterebbero in un’estensione degli incentivi alla capitalizzazione delle imprese per incrementarne la solidità patrimoniale attraverso deduzioni dal reddito imponibile.

In particolare gli interventi comprenderebbero l’estensione dei benefici fiscali anche alle aziende che non fanno utili (calcolando gli sgravi sulla base imponibile Irap e non Ires), incentivi per le imprese che decidono di quotarsi tramite un aumento di capitale, un alleggerimento degli adempimenti per gli emittenti neo quotati, l’annullamento dell’imposta sulle plusvalenze per investitori che si impegnino insmall caps con mantenimento dell’investimento per almeno tre anni.

Si tratta indubbiamente di un pacchetto di misure fondamentali per il rilancio della competitività delle nostre imprese. Come già segnalato nel nostro articolo precedente e in una recente pubblicazione del Fondo Monetario Internazionale, la crescita delle PMI è alla base del rilancio competitivo del tessuto imprenditoriale italiano, ed una maggiore solidità patrimoniale ne costituisce il fattore fondante. Tuttavia, sorgono dubbi circa l’efficacia del provvedimento: gli oneri di trasparenza e amministrativi connessi sono molto difficili da sostenere e la capacità di reperire risorse sui mercati finanziari potrebbe rimanere appannaggio di pochi.

Per ciò che concerne il rafforzamento dei canali di credito, invece, le proposte hanno l’obiettivo di assicurare la liquidità alle PMI attraverso canali di credito tradizionali e non, in particolare cartolarizzazioni e credit funds che investono in minibond. Si tratta di una strategia più promettente che si ispira all’esperienza di altri paesi europei ma che potrebbe essere non sufficiente a risolvere il problema del credito alle PMI. Infatti una ricerca commissionata da Crif (gestore del principale Sistema di Informazioni Creditizie in Italia) ad Aidea (Accademia Italiana di Economia Aziendale), pubblicata lo scorso Marzo, conclude che “[…], l’esperienza dei mercati obbligazionari esteri segnala che le semplificazioni previste dal quadro normativo per gli emittenti non sembrano essere determinanti per poter attrarre emittenti ed investitori. Esse probabilmente rappresentano la condizione necessaria, ma non sufficiente, per poter assicurare lo sviluppo del mercato del debito per le PMI.”

È quindi il sistema bancario a dover sostenere il tessuto economico del Paese in primo luogo, e le misure volte ad assicurare la liquidità alle PMI dovrebbero tenere ciò in debita considerazione. L’urgenza d’intervento è evidente e rimarcata dal bollettino di maggio della Banca Centrale Europea: “[negli ultimi due trimestri] le PMI dell’area dell’euro hanno segnalato che la loro situazione finanziaria si è ulteriormente deteriorata […]”. In numeri questo si traduce in un saldo nati-mortalità delle imprese negativo, pari -24.000 unità solo nel primo trimestre 2014. 266 ogni giorno. Nulla sembra quindi essere più urgente di misure concrete ed immediatamente operative volte al rilancio del credito per le imprese di piccole e medie dimensioni.

La proposta “Migliorare l’accesso al credito delle PMI attraverso un credit enhancement di sistema” presentata da Action Institute lo scorso 6 settembre 2013, in audizione formale presso la Camera dei Deputati, parte da questo presupposto. La stretta creditizia ed il differenziale di tasso di interesse applicato alle imprese in Italia rispetto a quelle del Nord Europa non solo è fonte di forte svantaggio competitivo, ma è una chiara barriera alla crescita ed una minaccia di sopravvivenza per le imprese.

L’idea è quella di creare un veicolo finanziario pubblico, capitalizzato con fondi strutturali europei (nell’ordine di 10 miliardi di euro), in grado di garantire “a monte” i crediti erogati da banche ed altri intermediari autorizzati. A fronte di tali benefici, le banche che decideranno di accedere al programma di garanzia del credito dovranno quindi applicare tassi inferiori alle imprese.

Questo nuovo Decreto Crescita costituisce quindi un’iniziativa nella giusta direzione, al fine di colmare il divario esistente fra ciò che bisognerebbe fare per rilanciare l’economia e le misure concretamente assunte. Tuttavia, molta strada rimane ancora da fare per garantire alle nostre imprese i medesimi vantaggi accordati ai principali competitor internazionali.

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