Dieci anni di venture capital in Italia
Chi si crede specialista di una tecnologia rischia di diventare obsoleto alla svelta.
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Chi si crede specialista di una tecnologia rischia di diventare obsoleto alla svelta.

“Il mio pallino è capire bene le persone: quanto le loro idee sapranno essere disruptive?”. Paolo Gesess, Founder e Managing Partner di United Ventures, è uno dei veterani italiani del settore venture capital, una figura che ci ha aiutato ad arricchire questo mosaico che, settimana dopo settimana, stiamo realizzando grazie ai contributi di chi investe in startup. Chi nella sostenibilità, chi nel deeptech, chi con un occhio alla ricerca scientifica, chi ai trend del fintech. Con Massimiliano Magrini, l’ex country manager di Google quando in Italia si storpiava il nome del motore di ricerca ancora semi sconosciuto, Gesess ha lanciato uno dei primi fondi VC. Era il 2013: hanno festeggiato da poco i dieci anni. «Abbiamo costruito partendo da poco e ora siamo uno dei principali operatori in Italia e in Europa».

Il VC, alle origini

Come siamo abituati a fare raccontando le storie dei protagonisti dell’innovazione partiamo dal come ci sono entrati. Classe 1966, nato a Torino, Paolo Gesess si è formato all’università occupandosi di economia e business. «In realtà una cosa nella mia vita ha contato molto, ma non sta nel curriculum: mi riferisco all’anno che ho passato all’estero ai tempi delle superiori. Ho studiato in Oregon, negli Stati Uniti. Ero molto vicino alla sede della Nike, tanto che due ex compagni ne sarebbero diventati top manager». Viaggiare prima che lo facessero in molti grazie ai vari programmi Erasmus ha giocato un ruolo chiave nella formazione di Gesess, che ricorda oggi quei momenti come formativi.

L’incontro con la tecnologia è stato con il suo primo computer. «Ci ho fatto la tesi, anche se con la macchina da scrivere ci avrei impiegato meno». Ma Gesess non è un nerd, come quelli che ci è capitato di incontrare nel nostro viaggio nel comparto VC. «Non provengo da quel mondo. Ci sono arrivato con altre esperienze alle spalle». Una delle prime è stata in Telecom Italia, nel ’97, dove si è occupato come analista di un primo embrione di corporate venture capital. «Erano gli anni della convergenza tra telco e information technology. Il digitale nasce lì, da quell’incrocio».

E intanto il mondo iniziava a cambiare. Lo scoppio della bolla delle dot.com di inizio millennio non avrebbe ucciso il web, ma semplicemente scremato chi bluffava, separandolo dalle tecnologie destinate a durare. Una di queste riguardava i pagamenti, in via di digitalizzazione. «In quegli anni ho incontrato un banchiere, Pietro Sella, che mi ha coinvolto in Jupiter Venture: ne è nato un fondo di estremo successo». Gestito da Banca Sella è stato uno dei primi attori dell’ecosistema. «Non esisteva la parola fintech, ma abbiamo investito in Mutuionline», una realtà oggi quotata in Borsa.

«La variabile più importante da guardare e valutare è quella umana», ribadisce Gesess che opera nel venture capital dal punto di vista finanziario. Sul suo percorso un altro incontro è stato fondamentale. Quello appunto con Massimiliano Magrini, col quale ha iniziato a collaborare nel 2011, dando vita un paio di anni dopo a United Ventures.

«Il Venture Capital in Italia era piccolo e soprattutto con poche persone». Eppure uno dei primi target – 70 milioni – è stato centrato in pochi mesi.

Vince il network

«United Ventures nasce dall’unione: abbiamo unito due competenze complementari. Io portavo 10 anni di esperienza in VC, Massimiliano altrettanti nel digitale. Network negli investimenti e network nelle tecnologie. È ancora oggi la chiave vincente del team». Al momento il fondo ha chiuso il suo 36esimo investimento. «E ricordo ancora il primo: Moneyfarm. Il nostro obiettivo rimane il medesimo, dieci anni dopo: digitalizzare quel che ancora non è digitalizzato».

Confrontarsi con gli investitori consente anche di fare confronti e paragoni con altri ecosistemi. La Francia, per vicinanza e somiglianza tra Paesi, è spesso il primo. Di recente la startup Verkor ha raccolto 2 miliardi di euro in finanziamenti, con una corposa parte di debito, per costruire una Gigafactory nel nord del Paese e realizzare batterie per auto elettriche. Si tratta di una cifra che grossomodo vale quanto raccolto da tutte le startup italiane nel 2022. «Non stiamo parlando però a mio avviso di operazioni di venture capital. Quando si hanno centinaia di milioni c’è altro, come il ruolo del debito con rischi più finanziari che non sulla tecnologia. Il volume medio di un investimento VC è nell’ordine di decine di milioni. Detto questo è chiaro il lavoro fatto da Macron».

United Ventures è concentrato soprattutto sulle realtà early stage. «Noi guardiamo all’impatto che sta dietro alla pura crescita economica. Abbiamo imparato che rappresenta un indice di successo». E poi c’è il lungo periodo, mindset indispensabile per un venture capitalist che ragiona su 10 anni. «Siamo lontani dai trend macro dell’economia», precisa Gesess, fermo restando la situazione complessa lato inflazione e costo del denaro, con le evidenti ricadute sul funding. «Oggi raccogliere è ancora più complicato che in passato. Gli investitori istituzionali devono bilanciare i portafogli. Ma è questo il momento per investire. Si ragiona in maniera più pacata, ridimensionando certe delle velleità valutative».

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