Dolore negli azionisti di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza
Veneto Banca ridisegna la rete

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È successo che entrambi gli istituti abbiano dovuto operare una corposa e quasi contemporanea svalutazione dei loro titoli (per tutti e due del 23%), portandoli a 30,5 euro per Veneto Banca (erano a 39,5) e a 48 euro per la Popolare di Vicenza (da 62,5). Questa iniziativa al ribasso è figlia di un certo modo di intendere la finanza per cui le banche non quotate hanno sempre dettato in proprio la linea, ovvero dando il valore alla propria azione secondo logiche che poco o nulla hanno a che fare con il mercato.

Di norma facevano lievitare il valore delle azione, stavolta hanno scelto di svalutare lasciando con il cerino in mano gli azionisti abituati, fino a ieri, a beneficiare delle disinvolte manovre sulle azioni. Si tratta di escamotage belli e buoni. Un modo di far guadagnare attraverso operazioni di capitalizzazione del tutto incoerenti con i meccanismi del mercato reale. I loro bilanci in rosso (nel 2014, dopo gli esami della Bce, la Banca Popolare di Vicenza ha chiuso con una perdita di 758 milioni, mentre Veneto Banca è arrivata  970 milioni) sono lì a dimostrare come in questi anni qualcosa non sia andata per il verso giusto. Qualcuno ha interpretato questa corsa al “ribasso” come il tentativo di rimettersi in carreg- giata davanti alla severità di giudizio della Bce. Scuse belle e buone. Anche perché non è che una banca è chiamata a tenere i bilanci in ordine solo perché ha paura dei “cerberi” di Francoforte! Dovrebbero esserlo a… prescindere, direbbe il grande Totò.

Apprendo che secondo analisti avveduti che monitorano periodicamente il comparto bancario, pur con l’ultimo ribasso, il valore delle azioni di quegli istituti del Nordest resta assai al di sopra dell’effettivo livello. Questo è un problema, evidentemente. Ma non circoscritto. Temo che sia solo l’inizio del caos. Perché, quando si decide in proprio di aumentare il valore della propria azione (o farlo calare, come nei due casi indicati), si genera uno squilibrio complessivo che ha notevoli ripercussioni di sistema, e non solo per le tasche degli azionisti di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza. Insomma, le banche non quotate hanno giocato troppo su un equivoco parlando di valore e non di prezzo azionario. Facendo, colpevolmente, confusione. Adesso, con l’ultimo ribasso, si è reso manifesto il malumore degli azionisti. A cui dico di non accettare supinamente i diktat. Ci sono le strade per far valere le proprie ragioni.

Per intanto, rimanendo sempre a Nordest, si può dire del Banco Popolare, anch’esso con il suo bel bilancio in rosso. Ma quell’istituto è quotato in Borsa, pertanto tutti i giorni sottoposto al giudizio del mercato, che determina il prezzo. Quella è la sola strada che vedo praticabile. Una strada non sempre illuminata a dovere (ma lì è la Consob che deve vigilare sempre e comunque e non sempre lo ha fatto con tempestività); tuttavia il responso del mercato mi appare il meno aggredibile dall’opacità tipica nella quale incorrono le realtà non quotate. Vediamo ora se con la riforma delle popolari vi sarà una vera svolta.

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