Fondi Coesione, per il 2014-20 spesi solo 36 su 116 miliardi
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Le premesse sono impietose, le conclusioni quasi altrettanto nette. La relazione sullo stato di attuazione della politica di coesione europea e nazionale, presentata ieri in consiglio dei ministri dal ministro per gli Affari europei, il Sud e il Pnrr, Raffaele Fitto, parte dalla constatazione che l’Italia è uno dei maggiori beneficiari dei fondi della coesione ma si colloca, nel confronto con gli altri Paesi membri, agli ultimi posti per efficienza ed efficacia nell’utilizzo delle risorse assegnate: percentuale di spesa pari al 55% del programmato, contro una media europea del 69 per cento.

Il documento di oltre 90 pagine, che si riferisce alla programmazione 2014-2020, evidenzia il tradimento del principio dell’addizionalità dei fondi, sancito dai Trattati europei, e la “trappola dello sviluppo” in cui sono finiti i territori meridionali che, anche ma non solo per effetto della crisi innescata dal Covid-19, stanno paradossalmente vedendo crescere e non diminuire il divario con le aree più sviluppate del Paese. Nella parte finale, poi, la Relazione mette in risalto problemi di monitoraggio dei fondi, di governance e, nel caso del Fondo sviluppo e coesione, basato su risorse nazionali, anche un problema mai risolto di spoliazione a favore di micro-interventi di emergenza territoriale sganciati da una forte analisi di contesto e valutativa.

Il bilancio

L’analisi complessiva dei fondi 2014-2020 – sommando fondi strutturali (Fse e Fesr), il relativo cofinanziamento nazionale e il Fondo sviluppo e coesione (nelle sue due articolazioni Poc, cioè Piani operativi complementari, e Psc, cioè Piani sviluppo e coesione) – segnala alla fine di ottobre 2022 pagamenti fermi al 34%. Su 126,6 miliardi ne sono stati spesi solo 46,1. Al netto degli interventi di emergenza per il Covid, si tratta invece di 36,5 miliardi su 116,2 (31,5%). Nel caso specifico dei fondi Ue, per i quali abbiamo un obbligo di rendicontazione finale al termine del 2023, la spesa complessiva da realizzare fino a dicembre è pari a 29,9 miliardi di euro (46% del valore delle risorse programmate). Si tratta di riuscire a rendicontare in un anno all’incirca quanto fatto dal 2015 a oggi.

Nella quota di risorse europee va considerata anche l’integrazione arrivata, in seguito alla crisi Covid-19, con il nuovo strumento del React-Eu che segnala, si legge nella Relazione, un quadro «particolarmente critico», con «un totale delle spese certificate alla Commissione europea pari a 1,8 miliardi, corrispondente al 12,5% delle risorse programmate (14,5 miliardi), con alcuni Programmi che registrano una certificazione pari a zero». In generale, comunque, una situazione ancora più preoccupante riguarda le risorse nazionali, perché evidentemente senza l’incubo del disimpegno, e quindi della perdita dei fondi, e senza il ricorso ai famigerati “progetti sponda”, le capacità di spesa delle singole amministrazioni sono perfino peggiori. Il Fondo sviluppo e coesione registra una percentuale di pagamento del 13,2% in riferimento ai piani Psc e dell’11,7% per quanto riguarda i Poc.

La nuova programmazione

La relazione presentata da Fitto e trasmessa al Parlamento prospetta ufficialmente la necessità di rivedere l’Accordo di partenariato 2021-2027, ritenuto non più attuale anche per il contesto cambiato dopo la guerra in Ucraina. Si tratta di una programmazione che vale 74 miliardi di euro, di cui 42,2 di risorse Ue. L’esigenza primaria, si osserva, è «rafforzare l’elemento dell’integrazione con il Pnrr».

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