Ghizzoni «Pronti 500 milioni al mese per le imprese»

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Mezzo miliardo di nuova finanza ogni mese destinata alle piccole aziende. Diecimila lettere a piccoli imprenditori per dir loro di investire. Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, sta per affrontare un’importante trattativa pilota sul personale (si parte da una richiesta di 5.482 esuberi da qui al 2018), ma insiste sul tema della ripresa dei consumi interni. Quest’anno sarà, assicura, quello del ritorno all’utile anche in Italia.

Segnali di cambiamento. In alcuni casi la crescita delle sofferenze si è bloccata. Quali evidenze emergono dalla somma dei vostri clienti?
«Il flusso netto di crediti da vivi a deteriorati si è stabilizzato. Gli accantonamenti straordinari che abbiamo deciso ci hanno consentito di chiudere con il passato e voltare pagina. Oggi siamo tornati ai livelli di copertura dei crediti problematici — il cosiddetto coverage ratio — che Unicredit aveva prima della crisi: il 52%, ai vertici assoluti in Europa. E il lavoro degli ultimi anni si è tradotto in una buona qualità del nostro portafoglio prestiti più recente. Questo oggi ci permette di avere un tasso di deterioramento molto inferiore a quello dei nostri concorrenti».
Ma i crediti deteriorati restano un problema.
«Da un anno è operativa una struttura dedicata alla gestione delle esposizioni italiane a maggior rischio, forte di 1.100 professionisti specializzati. Cerchiamo poi di esplorare anche percorsi innovativi. Il memorandum of understanding siglato qualche giorno fa con Alvarez & Marsal, Intesa e Kkr si propone di andare in questa direzione. Potrebbe massimizzare il valore di portafoglio di crediti in ristrutturazione aiutando le imprese a risanarsi e rilanciarsi».
Crediti che vengono onorati, significano nuovo credito. Quali settori privilegerete?
«Negli ultimi mesi abbiamo siglato accordi con importanti associazioni di categoria, dall’agricoltura all’alberghiero. Se guardiamo alle famiglie, nei primi due mesi del 2014 in Italia abbiamo erogato mutui casa in misura più che doppia rispetto allo stesso periodo del 2013 e abbiamo nello stesso tempo raddoppiato la nostra quota di mercato. Solo in Italia vogliamo erogare, da qui al 2018, 120 miliardi di nuovi finanziamenti. Stiamo inviando, al ritmo di 10 mila al mese, lettere alle imprese offrendo disponibilità per nuovi crediti: siamo pronti a fornire a queste imprese 500 milioni di nuova finanza al mese».
A chi avete scritto?
«A piccole imprese, 5-10 milioni di fatturato. Dicendo loro sostanzialmente che abbiamo già pre-approvato un finanziamento per lo sviluppo e di farsi avanti se interessate».
Quali sono gli spazi di crescita per le imprese italiane del settore manifatturiero nel contesto post-crisi? E quali le aree?
«Stiamo assistendo ad un ritorno alla domanda di credito per la ricostituzione di scorte ma c’è anche qualche segnale di ripresa degli investimenti. La manifattura italiana sta mostrando confortanti segnali di ripresa come confermato anche dal Purchasing managers index manifatturiero che in Italia a marzo è salito a 52,4 confermando il trend espansivo. Certamente le imprese che hanno saputo innovare e conquistare i mercati esteri godono oggi di un vantaggio competitivo e di una migliore “salute” finanziaria rispetto alle imprese rimaste concentrate sul mercato domestico. Dal 2012 ad oggi abbiamo aiutato 12 mila imprese ad avviare o incrementare la loro attività estera. Ma non trascuriamo assolutamente le nuove idee imprenditoriali: lo scorso anno abbiamo finanziato 7.200 start-up italiane».
Ottimista?
«Razionalmente. Ci sono segnali importanti ancorché incostanti. Ma la banca italiana del nostro gruppo, dopo i pesanti accantonamenti dell’anno scorso, tornerà a produrre reddito nel 2014».
La Borsa negli ultimi mesi ha visto alcuni esordi importanti. La quotazione è ancora il modo migliore per finanziare la propria attività imprenditoriale?
«I mercati istituzionali, azionario e obbligazionario, sono una grande opportunità per il sistema imprenditoriale italiano. Quotandosi le imprese hanno, da un lato, la possibilità di aumentare la loro solidità patrimoniale e di trovare mezzi freschi per la crescita. Dall’altro, il mercato istituzionale obbligazionario costituisce una forma di finanziamento alternativa al debito bancario. Può sembrare strano, ma io mi batto per la disintermediazione del credito: le aziende hanno bisogno di canali alternativi alla banca per i loro finanziamenti. Ma la Borsa è anche, e forse soprattutto, il modo per valorizzare imprese sane e di successo. Per questo quoteremo Fineco, prima realtà in Italia ad offrire la banca on line e servizi innovativi ai clienti. Metteremo sul mercato una quota tra il 25 e il 35 per cento entro la fine di luglio».
Perché quoterete Fineco?
«L’obiettivo è far conoscere Fineco all’estero, generare valore e reinvestire nella crescita della società buona parte del ricavato».
La Borsa è tornata protagonista nei primi mesi del 2014. Il titolo Unicredit ha già guadagnato molto, nell’ultimo anno più dell’indice europeo del settore. Che anno sarà per gli investitori in Piazza Affari?
«La Borsa Italiana è quella che in Europa ha registrato la maggiore crescita da inizio anno. È un buon segnale che testimonia come l’Italia sia tornata a presentare un attraente profilo di rischio-rendimento. I soli investitori statunitensi, ad esempio, hanno aumentato nell’ultimo anno le loro partecipazioni azionarie del 70%. Le incertezze che stanno caratterizzando i mercati emergenti non possono, a mio avviso, spiegare da sole questo afflusso di denaro. Credo piuttosto che i mercati vedano nelle prospettive di riforme strutturali e nell’auspicabile ripresa economica due validi motivi per investire in Italia. E di solito i mercati anticipano con successo i cambiamenti…».
Può spiegare il dividendo Unicredit di quest’anno? Ovvero l’opzione tra cash e carta.
«Diciamo con grande chiarezza che si tratta di un dividendo vero, in crescita del 10% rispetto all’anno precedente. All’assemblea degli azionisti verrà chiesto di approvare la distribuzione di un dividendo pari a 10 centesimi di euro per azione sotto forma di nuove azioni oppure, a semplice richiesta dell’azionista, mediante versamento in contanti».
Lei in passato invocava lo spread Btp/Bund a 200 basis point . Oggi siamo ben al di sotto. Cosa cambia e cosa significa questo nuovo rapporto?
«Uno spread contenuto è un segnale di fiducia verso l’Italia. Un valore che impatta su tutti: lo stato, le banche, le imprese e le famiglie. Invocavo quota 200 come obiettivo da raggiungere quando lo spread era molto più ampio, ma ho sempre detto che rimanere a 200 troppo a lungo avrebbe creato problemi all’economica. La discesa dello spread è una condizione importante per una riduzione del costo del credito. Oggi possiamo dire che in questa direzione molta strada è stata fatta e stimiamo di arrivare a 150 nel 2015».

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