All’indomani della nota sentenza della Corte di Cassazione del 9 gennaio 2013, n. 350, a causa di una nota trasmissione televisiva e agli articoli di un quotidiano, è stata raffigurata da molti la teoria secondo la quale, ai fini della verifica dell’usura, gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori, contenuti in un contratto di mutuo, devono essere sommati.
Tale tesi, avallata dalle associazioni dei consumatori, ha dato vita ad un nuovo contenzioso “seriale”.
Di qui le contestazioni di molti clienti, spinti da alcune associazioni, sono stati indotti – nella mancanza di una conoscenza specialistica – a credere che in tali contratti fosse stata prevista una forma di usura “implicita”, con la possibilità di ottenere l’applicazione della nullità punitiva di cui all’art. 1815, secondo comma, cc, che prevede la volturazione del finanziamento da oneroso a gratuito.
Tale filone è stato, tuttavia, smentito dalle pronunce dei Tribunali italiani che, via via, hanno negato la possibilità di sommare gli interessi corrispettivi a quelli moratori, con un epilogo netto in favore degli istituti di credito.
Sul tema dell’usura, prendiamo spunto da questi semplici concetti:
- gli interessi corrispettivi rappresentano la remunerazione del capitale concesso in prestito;
- gli interessi moratori rappresentano la predetermiazione della misura del danno arrecato al creditore in caso di inadempimento;
- al momento della scadenza di una rata di un finanziamento, l’originario debito, distinguibile per capitale e interessi corrispettivi, si trasforma in un’unica obbligazione esigibile, sulla quale poi vanno a calcolarsi gli interessi moratori in caso di inadempimento.
Come è andata a finire? I tribunali italiani hanno respinto le domande fondate sull’assunto della sommatoria dei tassi, anche con condanne per lite temeraria nella misura fino al quintuplo delle spese processuali (per un mutuo di 170 mila euro, il cliente è stato condannato al pagamento di euro 52 mila euro per responsabilità processuale aggravata).
In particolare, i giudici hanno affermato che detta metodologia è un errore logico, oltre che giuridico, bollando la azioni giudiziarie quale frutto di “ignoranza normativa e giurisprudenziale” e di “dolo processuale”. I Tribunali hanno così chiarito che giammai la Corte di Cassazione con la sentenza 350/2013 avrebbe sancito che, ai fini della verifica dell’usura, gli interessi corrispettivi devono essere sommati agli interessi moratori, precisando come la Suprema Corte non abbia mai affermato una simile “mostruosità” e come “la condotta attorea denoti la volontà di creare un contenzioso seriale”. Infatti, è stato affermato che gli interessi moratori sono sostitutivi e non additivi dei tassi corrispettivi.
Le condanne alle spese per lite temerarie sono state motivate dalla volontà di punire le azioni meramente strumentali e speculative, che arrecano un danno all’intero sistema giudiziario, anche al fine di stroncare questo inutile contensio seriale.