Gros-Pietro: così la nuova Intesa

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Cucchiani? Non se n’è andato a causa della vicenda Zaleski. Alitalia? Faremo il nostro mestiere che è quello di banca e non di vettore aereo. Telecom? Dovremo passare la mano ad altri investitori. Gian Maria Gros-Pietro, presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, non usa mezzi termini nella sua prima uscita dopo l’avvicendamento al vertice dell’istituto di credito che ha visto Carlo Messina sostituire Cucchiani nel ruolo di chief executive officer.

A margine della presentazione del rapporto sul risparmio degli Italiani, Gros-Pietro ha spiegato che sulla vicenda Tassara (la holding del finanziere Romain Zaleski in grosse difficoltà finanziarie) «si è raggiunta una soluzione comune a tutti i creditori bancari e che ha la caratteristica di massimizzare la possibilità di recupero dei capitali immobilizzati in quei crediti». Nessun collegamento con l’abbandono di Cucchiani, quindi, che «risponde all’esigenza del sistema dirigenziale della nostra banca di sviluppare maggiormente i rapporti tra il ceo e i suoi primi riporti».

Domanda. Presidente, Intesa Sanpaolo sta cambiando pelle.

Qual è la missione affidata a Messina?

Risposta. Messina presenterà presto il suo programma. Posso dire che è un banchiere di lungo corso sebbene relativamente giovane (ha 51 anni, ndr). Unisce all’incarico di capo della Banca dei Territori, che già ricopriva, il ruolo di chief executive officer dell’intero gruppo. Questo vuol dire che Intesa Sanpaolo si propone come obiettivo prioritario di erogare credito al sistema produttivo italiano. Messina è un grande esperto di finanza, oltre a essere molto apprezzato a livello internazionale. Certamente farà bene nel nuovo incarico.

D. Enrico Letta ha ottenuto la fiducia e il governo, dunque, va avanti. Con l’incertezza politica che continua a regnare resta la possibilità che la legge di stabilità la dovremo scrivere sotto dettatura di Bruxelles?

R. È un rischio che esiste. Se dovesse essere Bruxelles a scrivere la nostra legge di stabilità non necessariamente sarebbe una tragedia, ma rappresenterebbe un fatto doloroso perché è evidente che i sacrifici che vengono imposti dall’esterno non tengono conto delle sensibilità locali. La Grecia insegna.

D. Un altro fronte che si apre è il rischio di ulteriore bocciatura da parte delle agenzie di rating che aumenterebbe lo sconto che la Bce applica sui titoli di Stato italiani portati come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento dalle banche. Quali conseguenze per voi?

R. Per tutte le banche sarebbe una situazione estremamente difficile in quanto depositando questi titoli avremmo minore possibilità di ottenere credito dalla Bce. In pratica un maggiore sconto implica un maggiore costo di finanziamento e questo, a cascata, si ripercuoterebbe in un costo superiore del credito per le imprese italiane. Ma c’è di più. Si avrebbe una diminuzione del valore dei titoli nell’attivo delle banche italiane e, quindi, una riduzione del credito che potrebbe essere erogato.

D. Nel 1997 lei fu nominato presidente dell’Iri con un incarico molto preciso: privatizzare le controllate. A 16 anni di distanza si continua a parlare di privatizzazioni con lo scopo di fare cassa per ridurre il debito italiano. Che margini di manovra ci sono adesso?

R. Allora il governo decise di privatizzare alcune grandi società, in particolare le controllate dell’Iri, e questo diede un contributo fondamentale alla finanza pubblica. Oggi le privatizzazioni potrebbero riguardare soprattutto le società possedute dagli enti locali. L’esperienza della privatizzazione delle controllate Iri non solo ha consentito di fare cassa, ma soprattutto ha spinto queste società, una volta cedute ai privati, a iniziare a produrre utili piuttosto che registrare perdite o a essere più profittevoli rispetto al passato.

 

D. Un’esperienza che si potrebbe quindi replicare a livello locale?

R. Se noi privatizzassimo parte delle controllate delle amministrazioni locali certamente avremmo un miglioramento dell’efficienza dei servizi e una riduzione dei costi.

D. Non tutte le privatizzazioni, però, sono state casi di successo. Mi riferisco ad Alitalia e Telecom, in cui Intesa ha giocato un ruolo fondamentale. Più di un osservatore dice che il suo istituto dovrebbe fare autocritica anche per le perdite subite dagli azionisti e per il fallimento dell’obiettivo di mantenerle in mani italiane.

R. Il ruolo di Intesa Sanpaolo non è stato tanto nella privatizzazione, ma quanto nel rilancio sia di Telecom Italia sia, più recentemente, di Alitalia. Quelle operazioni hanno avuto una loro importanza in quel momento particolare. Oggi un ruolo del genere non sarebbe più proponibile per la nuova regolamentazione che viene data alle istituzioni finanziarie di importanza sistemica e quindi anche a Intesa. Non è possibile pensare di continuare a investire massicciamente in capitale di rischio di imprese che non abbiano la funzione bancaria che è tipica della nostra società. In qualche modo noi dovremo passare la mano ad altri investitori, ovviamente assistendo questi operatori con gli strumenti tipici di un istituto bancario.

D. Nell’indagine sul risparmio presentata a Torino emergono i primi spiragli di una possibile fine della crisi, quanto meno nella sua forma più acuta. Anche se oltre il 60% degli italiani non riesce a risparmiare.

R. È vero, non riescono a risparmiare come vorrebbero o come risparmiavano negli anni passati però cominciano a intravedere un impatto meno grave della crisi sui loro bilanci e sulla loro possibilità di risparmio.

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