Il boom degli unicorni ha imboccato la sua curva discendente
Chi sono le pmi innovative?

Ancora nessun commento

Il mito delle one billion company (le startup valutate più di un miliardo di dollari) nel 2016 dovrà fare spazio ad un gruppo di startup dalla caratteristiche meno magiche ma, pare, destinate a durare molto più a lungo nel tempo: i conigli.

Tutto è cominciato nel 2009, quando nel mondo c’erano solo quattro startup valutate più di un milione di dollari. Gli unicorni 7 anni fa erano davvero una specie rara. Nel tempo, però, il loro numero è cresciuto in maniera esponenziale. A settembre 2015 la banca di investimenti Credit Suisse pubblicava una nota in cui evidenziava come dal 2009 il numero di one billion company fosse cresciuto del 3000%. Oggi, secondo i dati di CB Insights, ci sono 152 unicorni. Una cifra importante. Eppure qualcosa sta cambiando.

Molti analisti sostengono che gli unicorni non siano destinati a durare nel tempo. Alcuni sono bolle – nei mesi scorsi Dropbox ha ammesso che i 10 miliardi di dollari di valutazione nel 2014 erano una cifra esagerata; e perfino Jack Dorsey ha dovuto abbassare la Ipo di Square a 4 miliardi di dollari – altri, semplicemente, non hanno le carte per sopravvivere a questi termini. Insomma «alcuni perderanno il corno e forse le loro valutazioni si raffredderanno o diventeranno più realistiche e si concentreranno meno sugli investimenti raccolti e più sulle vendite effettive», riassume Calum Morrison nel blog di Sonovate, società inglese del settore degli smart contract. Ecco perché Anand Sanwal, Ceo di CB Insights, ha comunicato nella sua recente newsletter che il 2016 sarà l’anno dei conigli.

Coniglio è la traduzione dell’inglese “rabbit”, che in questo caso è un acronimo:

R – Real

A – Actual

B – Business

B – Building

I – Interesting

T – Tech

 

Insomma, un’azienda vera, che fa davvero tecnologia e ha costruito un business reale basato su prodotti e vendite. «Con 152 unicorni è prevedibile che alcuni si bruceranno o dovranno affrontare dei problemi», scrive Sanwal, «non sono delle scommesse a rischio zero». Ma se per qualcuno può essere interessante – e a tratti soddisfacente – guardare alla scomparsa di un grande numero di unicorni, Sanwal preferisce spostare l’attenzione «sul fatto che il 2016 potrebbe spingere molti di questi unicorni a diventare “rabbits” – conigli». Una trasformazione nel segno della concretezza: sopravviveranno solo quelle startup che sapranno dimostrare di essere delle aziende solide, dice l’analisi di Sanwal.

Restare unicorni, secondo l’opinione di analisti come Mark Suster di Upfront Ventures e Bill Gurley di Benchmark Capital, sarà quasi impossibile nel 2016. Le previsioni disegnano un mercato degli investimenti privati nel settore tecnologico che presto dovrà trovare un antidoto al proprio surriscaldamento. «Siamo chiaramente in una bolla», ha scritto Suster nel Venture Outlook 2016, «o abbiamo scoperto qualche ricetta magica» oppure, da venture capitalist, «abbiamo forzato un po’ troppo la mano sulle valutazioni». Se questa è l’ipotesi giusta, allora gli unicorni dovranno ridimensionarsi. E la dimensione giusta per molti potrebbe essere proprio quella del piccolo, concreto coniglio.

Contrariamente al sentir comune, la maggior parte degli unicorni oggi ha sede al fuori di Silicon Valley. Su 159 società censite a gennaio 2015 e nate a partire dal 2003 solo poco più della metà (58) hanno sede in California. E il divario sta crescendo: fino al 2010 il rapporto era più o meno di uno ad uno (per ogni unicorno nato nella Valley, ne nasceva uno altrove).

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI