Il credit crunch dimezza i prestiti

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Nel corso del mese di settembre del 2008, prima della crisi, le imprese italiane avevano ottenuto dalle banche 62 miliardi di nuovi prestiti. Cinque anni dopo, nello stesso mese, appena 30. L’effetto del credit crunch, evidenziato periodicamente dagli aggiornamenti di Bankitalia sugli stock, è ancora più drammatico guardando alle nuove operazioni di finanziamento. E settembre purtroppo non rappresenta un’eccezione. Nei primi nove mesi dell’anno, infatti, i prestiti erogati alle società non finanziarie in Italia sono stati pari a 305 miliardi, ben 51 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Un calo di oltre quattordici punti che però “impallidisce” rispetto al -38% realizzato mettendo a confronto il 2013 con i primi nove mesi del 2008, quando i nuovi prestiti sfiorarono i 500 miliardi di euro. Altri tempi, però e altra economia. Da un lato i rubinetti delle banche restavano allargati, forse anche troppo a giudicare dai crediti deteriorati degli anni successivi, dall’altro vi era però un sistema produttivo ancora in crescita, capace di aumentare produzione, export, consumi e investimenti. Scenario opposto rispetto a quello odierno, caratterizzato da più di 40 fallimenti al giorno, 25 mesi consecutivi di calo della produzione industriale, un export che a fatica (-0,3% tra gennaio e settembre) riesce a resistere sui livelli del 2012. Il risultato è un circolo vizioso che si autoalimenta: imprese in difficoltà, sofferenze in crescita, restrizioni creditizie, difficoltà aggiuntive per le imprese, altre sofferenze in arrivo ecc…
Le nuove operazioni di credito approvate dalle banche non sono sufficienti per ripristinare i prestiti in scadenza e il risultato di questa diversa velocità provoca una costante erosione dello stock di finanziamenti al sistema: poco meno di 900 miliardi a fine 2011, appena 829 oggi per le società non finanziarie. Una riduzione che colpisce in misura quasi omogenea i diversi macro-settori, con un calo maggiore per le costruzioni, giù del 15,2% in due anni e le attività industriali (-15,2%) mentre per i servizi la riduzione dello stock di prestiti è “limitata” al 12,1%.
L’acqua a disposizione per il “cavallo” (che comunque di sete non sembra averne troppa) oltre che essere razionata è però anche “salata”. Scorrendo i dati di Bankitalia degli ultimi 12 mesi si osserva infatti una sostanziale stabilità dei tassi per le imprese: il livello medio di riferimento per le nuove operazioni a settembre 2012 era pari a 3,46%, un anno dopo è addirittura salito di dieci punti base (a ottobre però l’Abi segnala un calo al 3,38%). Il tutto mentre le spread italiano recuperava più di 100 punti base rispetto alla Germania, beneficio che finora non è stato in alcun modo “girato” al sistema produttivo.

Tra i motivi vi è il deciso aumento delle sofferenze bancarie, salite in un anno di oltre 20 miliardi per le società non finanziarie, con la certezza di sfondare a ottobre quota 100 miliardi. Livello impensabile prima della crisi, quando l’ammontare delle partite più rischiose nei confronti delle aziende (fine 2008) valeva appena 25,6 miliardi, un quarto rispetto ai livelli attuali. Situazione preoccupante per il sistema bancario non solo per i maggiori livelli di perdita ma anche per la progressiva restrizione dell’area in grado di generare reddito, cioè gli impieghi “vivi”. Guardando ai finanziamenti in bonis al sistema produttivo (prestiti al netto delle sofferenze), l’ammontare totale nei confronti di imprese e famiglie produttrici è sceso a quota 809 miliardi, 63 miliardi in meno rispetto a 12 mesi prima, 122 prendendo come riferimento settembre 2011, punto d’avvio della seconda fase del credit crunch.

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