L’ impresa individuale segnala un declino quasi ventennale
Il primo maggio nasce per ricordare le battaglie dell’Ottocento per la giornata lavorativa di otto ore, le rivendicazioni sindacali che ancora oggi caratterizzano questa giornata la associano soprattutto ai lavoratori dipendenti, ma in realtà è la festa di tutti i lavoratori, anche quelli autonomi.
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Il primo maggio nasce per ricordare le battaglie dell’Ottocento per la giornata lavorativa di otto ore, le rivendicazioni sindacali che ancora oggi caratterizzano questa giornata la associano soprattutto ai lavoratori dipendenti, ma in realtà è la festa di tutti i lavoratori, anche quelli autonomi. Questo è ancora più vero in Italia, dove il lavoro autonomo gioca un ruolo più significativo che altrove, anche nel dibattito politico, e dove la frontiera tra lavoro autonomo e lavoro dipendente non è sempre così chiara.

Mentre il numero di lavoratori dipendenti, mese dopo mese, raggiunge nuovi record, il lavoro autonomo continua il suo declino ormai quasi ventennale (a inizio 2024, dopo una piccola ripresa, il numero di autonomi è nuovamente sceso sotto la soglia dei 5 milioni). Dopo il picco di metà anni Ottanta, si era assistito a un primo calo negli anni Novanta, ma è soprattutto all’avvio e in seguito alla crisi finanziaria e dei debiti sovrani che il numero è crollato. In poco meno di vent’anni, il numero di lavoratori autonomi è sceso di un milione di unità. Invece di un futuro in cui tutti saremo imprenditori di noi stessi, andiamo verso il tramonto del lavoro autonomo? No, la questione è più sottile.

Non tutti gli autonomi sono uguali

Il mondo degli autonomi è composto da lavoratori molto diversi tra di loro. Più della metà sono lavoratori in proprio e liberi professionisti, cioè che esercitano attività di lavoro autonomo. Solo il 7 per cento sono imprenditori in senso stretto, cioè che esercitano attività di impresa. Il 5 per cento, poi, sono collaboratori occasionali e il 4 per cento coadiuvanti (non retribuiti) nell’azienda di un familiare. Sul totale, meno di un terzo degli autonomi è un “datore di lavoro”, cioè ha dipendenti. Il resto sono autonomi senza dipendenti.

Quanti di questi lavoratori senza dipendenti siano veramente autonomi e non dipendano, invece, nei fatti dalle richieste di un committente non lo sappiamo. I dati che sono raccolti regolarmente nelle indagini sulle forze lavoro non permettono questo tipo di analisi. Tuttavia, in un approfondimento tematico ad hoc nel 2018, l’Istat rilevava come tra gli autonomi senza dipendenti, quelli che dipendono da un committente principale fossero il 20,8 per cento, quelli che devono adeguare l’orario di inizio e fine della giornata lavorativa alle esigenze del cliente principale il 10,5 per cento e coloro che ricadono in entrambe le categorie il 6 per cento. Stando a questi numeri, circa un lavoratore autonomo su cinque (cioè, un milione di persone oggi) non ha i diritti del lavoro subordinato (ma ne condivide alcuni obblighi) e non gode di tutta la flessibilità che il lavoro autonomo può offrire.

Prima della pandemia, il calo riguardava sia i datori di lavoro che, in maniera più marcata, i lavoratori autonomi senza dipendenti. Guardando all’evoluzione più recente, si può notare invece come dopo il periodo della pandemia, in cui anche il numero di datori di lavoro si è contratto (nonostante gli aiuti pubblici che hanno limitato di molto il numero di fallimenti), gli autonomi che hanno altri lavoratori alle proprie dipendenze sono cresciuti a ritmi sostenuti, tanto da essere in linea negli ultimi trimestri con quello dei lavoratori dipendenti, mentre sia continuato il calo degli autonomi senza dipendenti.

Più opportunità di lavoro dipendente

Visto da questa prospettiva, quindi, la riduzione del numero di lavoratori autonomi appare sotto un’altra luce, certamente meno negativa. Pur senza poter avanzare spiegazioni definitive, si può ipotizzare che, negli ultimi trimestri, il calo sia in parte il riflesso delle maggiori opportunità di lavoro dipendente. Chi una volta apriva una partita Iva in mancanza d’altro, ora ha maggiori possibilità di trovare un lavoro dipendente. Se, poi, il calo degli autonomi senza dipendenti riflettesse anche un consolidamento e un aumento della taglia delle imprese, per esempio degli studi professionali, questo sarebbe un altro fattore positivo per l’economia italiana, visto che da tempo si è capito che “piccolo non è bello”.

Quali siano le dinamiche territoriali dietro questi numeri non lo sappiamo, non tanto tra Nord e Sud (il calo è concentrato al Mezzogiorno), ma tra aree interne e centri urbani: se il consolidamento vuol dire un supermercato a fondo valle e la chiusura dei negozietti nei paesi di montagna, significa anche minori servizi. Al momento, per quanto possiamo osservare con i dati disponibili, i numeri sul lavoro autonomo, pur andando in senso opposto a quelli del lavoro dipendente, suggeriscono comunque una maturazione del fenomeno (meno sopravvivenza e più impresa) e una convergenza verso la media europea. Un motivo in più per festeggiare il lavoro e i lavoratori in questo primo maggio.

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