Indiegogo si prepara all’equity crowdfuding
Lievita in fretta il giro d’affari delle piattaforme di crowdfunding in Italia

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Per ora siamo solo agli inizi, con i founders che cercano un difficile equilibrio tra il loro desiderio e le leggi americane in tutela degli investitori. Se riuscirà nell’impresa il volto del mondo del venture non sarà più lo stesso: «Così offriamo equity anche agli investitori non professionisti» spiega Slava Rubin, tra i cofondatori a FastCompany.

 

Lo chiedono ormai da tempo i donatori, “possiamo investire?”, e allora uno dei due big del crowdfunding mondiale (l’altro come è noto è Kickstarter) vuole provare a fare il salto. Gli utenti dei queste piattaforme hanno contribuito a campagne di successo milionarie, startup che poi una volta spinte sul mercato grazie ai loro soldi, hanno raccolto investimenti per decine e decine di milioni di dollari, o in altri casi sono state protagoniste di exit miliardarie.

Una delle storie più emblematiche è quella Oculus Rift, il visore della realtà virtuale che ancor prima di essere acquistato da Facebook (per 2 miliardi) aveva raccolti 2 milioni su Kickstarter. E cosa è finito nelle tasche dei circa 9 mila donatori all’indomani dell’exit? Niente. Salvo i reward, i premi previsti per la donazione, come t-shirt, un modello acquistato in preordine. Tutto, tranne quote della startup.

Il “Jobs Act” (quello Usa, ndr), al cosiddetto Title III offre la possibilità di investire in startup anche a chi ha ricavi sotto i 100mila dollari all’anno (un tetto massimo di 2 mila dollari, o i 5% dei suoi guadagni annuali): «Per la prima i cittadini potranno investire negli imprenditori in cui credono» aveva dichiarato Obama all’indomani della firma della legge tre anni fa. Ed era proprio quello che Slava Rubin stava aspettando, è da anni che lui e il suo team cercano il “fattore x” per differenziarsi una volta per tutte da loro maggiore rivale sul mercato, il già citato Kickstarter.

Va da sé che diventare una piattaforma che autorizza la compravendita di quote aziendali funziona in modo diverso da una che offre, come avviene oggi nel reward, un cappellino, un gadget o un prodotto in preordine. La startup deve, in questo caso, rispondere a tutta una regolamentazione delle authority, come il SEC (la Securities and Exchange Commission). Altrimenti, può solo raccogliere promesse di interesse non vincolanti. Inoltre, il sito che ospita la transazione non potrà più restare indifferente alle sorti dell’investimento, un po’ come accade oggi con le piattaforme di reward che “si lavano le mani” nel caso di fallimenti clamorosi di progetti che raccolgono soldi e non riescono poi a mantenere gli accordi presi con i donatori.

Il co-fondatore di Indiegogo dice a FastCompany che vuole «democratizzare il funding». E paragona la paura che c’è oggi nell’investire in startup online, alla diffidenza che c’era a metà anni Novanta verso l’eCommerce: «In quel caso il governo non ha eliminato i rischi  in cui chi acquistava online poteva imbattersi, ma ha spinto gli store ad auto regolarsi. Allo stesso modo, oggi dovrebbe dare all’industria del crowdfunding la possibilità di provare scenari futuri e, se le cose non funzionano, intervenire con nuovi provvedimenti legislativi».

Per ora non c’è ancora nulla di concreto: «Siamo ancora in una fase esplorativa» scrive Indiegogo nella nuova sezione del sito dedicata all’equity. Chi è interessato può iscriversi, ottenere aggiornamenti e offrire i suoi feedback. Non esistono al momento date su quando questa nuova funzionalità sarà disponibile agli utenti della piattaforma.

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