Italia pagherà caro assenza unione bancaria

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L’Unione Europea ha appena seppellito per sempre l’idea di un’unione bancaria. E’ una decisione che avra’ gravi conseguenze sull’economia dell’Eurozona. Svanisce cosi’ l’ultima possibilita’ di trovare una soluzione per mettere fine alla depressione economia dell’area periferica piu’ in difficolta’.

Tutti i rischi saranno condivisi tra le diverse categorie di creditori delle banche (azionisti, obbligazionisti e in ultima istanza risparmiatori) che per la maggior parte sono istituti nazionali e gli stati.

Nel giugno del 2012, in gran silenzio, il Consiglio Europeo ha preso l’impegno di rompere il legame tra i paesi sovrani e le banche. Ma l’accordo preso la scorsa settimana va nella direzione opposta. Non riesce nemmeno ad allentare questo rapporto biunivoco molto stretto, che di fatto e’ stato riconfermato.

Al meccanismo Europeo di stabilita’ (ESM), studiato per fornire aiuti ai membri dell’Eurozona, e’ stato dato il diritto di ricapitalizzare le banche direttamente per anche 60 miliardi di euro. Ma c’e’ un problema non da poco: per ogni euro che viene prelevato dal fondo salva stati per ricapitalizzare una banca, vanno impiegati due euro come collaterale se l’istituto finanziario vuole mantenere intatto il suo rating credizio.

Ammettendo che vengano usati tutti i 60 miliardi di euro possibili, la capacita’ complessiva di prestare denaro del fondo scenderebbe a €200 miliardi, una somma che non sarebbe sufficiente per rispettare gli impegni nei prossimi anni.

Per il modo in cui e’ stato studiato il meccanismo di stabilita’ da 60 miliardi, i ministri delle Finanze del blocco a 27 avranno un incentivo a non utilizzare il fondo se non in situazioni disperate.

Secondo l’editorialista del Financial Times Wolfgang Munchau quei €60 miliardi non verranno mai impiegati. E le perdite del sistema bancario sono cosi’ grandi, che difficilmente quella cifra farebbe comunque la differenza.

“Il solo fatto che ci sia questo sistema di soccorso – scrive il giornalista finanziario – dovrebbe alleggerire, almeno in teoria, il peso dallo stato di riferimento della banca in crisi”. In realta’ funziona cosi’ solo se una buona parte degli azionisti e obbligazionisti sono stranieri. Ma le banche sono diventate sempre piu’ “nazionali” da quando la crisi e’ scoppiata.

E sono proprio loro, le banche, i potenziali acquirenti di ultima spiaggia del debito sovrano della loro nazione. In caso di nuova crisi, a perderci sarebbero sempre i soliti noti.

In Italia il problema e’ che il sistema bancario sottocapitalizzato e’ minacciato dal circolo vizioso costituito da credit crunch, di una recessione e di un settore pubblico con poco spazio di manovra sotto il profilo fiscale.

Il governo Letta e’ impegnato ad affrontare la questione della disoccupazione giovanile, ma il vero problema e’ la carenza di liquidita’ delle banche. In caso di ulteriore rialzo dei tassi di interesse, il paese si avvicinerebbe al momento in cui sara’ costretta a chiedere aiuti al fondo salva stati ESM. Cio’ spingerebbe la Bce a intervenire e comprare Btp.

Ma Draghi e lo stato italiano non possono ricapitalizzare direttamente le banche italiane. E non lo puo’ fare nemmno l’ESM. Secondo un rapporto di Mediobanca, l’Italia potrebbe attingere dal patrimonio dei privati per trovare nuove risorse, ma tale opzione ha una difficile attuazione, perche’ le aliquote fiscali per le persone benestanti sono gia’ abbastanza elevate.

In assenza di un’unione bancaria, l’Italia non e’ al sicuro e la stabilita’ del suo sistema bancario non e’ affatto garantita.

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