La bassa inflazione che spaventa l’Europa
Inflazione

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Preoccupano i dati sull’inflazione in Europa. Ieri e oggi sono stati rilasciati dagli istituti di statistica gli indici dei prezzi di Germania, Francia e Spagna. A preoccupare è soprattutto il dato tedesco: l’IAPC (indice armonizzato dei prezzi al consumo) mensile ha registrato un -1%, contro le previsioni che lo vedevano a -0,7%, e l’indice annuale all’1,4%.

In Spagna l’IAPC mensile ha addirittura fatto segnare un -1,4% e a livello annuale la crescita dei prezzi è stato solo dello 0,7%. Leggermente migliore la situazione in Francia dove l’IAPC mensile ha fatto registrato una diminuzione mensile (-0,1%) ma una crescita annuale più robusta (+1,5%).

Ricordiamo che l’obiettivo d’inflazione perseguito dalla BCE parla di una crescita vicina al 2%. Nonostante la politica monetaria accomodante dell’istituto guidato da Draghi la situazione generale in eurozona continua ad essere critica. Da evidenziare in particolare la situazione tedesca. La Germania si trova in una fase di crescita sostenuta da svariati anni e il tasso di disoccupazione è sceso a livelli record, come non si vedeva da anni. Nonostante ciò la crescita dei prezzi si mantiene debole e ciò potrebbe causare non pochi problemi alla BCE.

Il Quantitative Easing voluto da Draghi è servito a iniettare liquidità nel circuito, permettendo inoltre di calmierare la crisi dei titoli di Stato della periferia dell’eurozona e di favorire l’abbassamento dei tassi e il deprezzamento dell’euro. Dopo un periodo di deflazione, l’eurozona è riuscita a ritrovare una dinamica positiva nella crescita del livello dei prezzi, favorita anche dalla crescita del prezzo del greggio. Questo slancio sembra tuttavia terminato.

Come ormai noto, una crescita dell’inflazione al 2% è un elemento chiave per svariati motivi:

  1. In primis, una dinamica positiva dei prezzi permette di ridurre in termini reali il peso del debito pubblico, agendo positivamente sia in termini di deficit che di rapporto Debito/PIL;
  2. Svolge una funzione di stimolo ai consumi;
  3. Terzo punto, ma forse più importante, è elemento vitale per sanare gli squilibri interni all’eurozona: i gap di competitività tra i Paesi in surplus (come la Germania) e i Paesi in deficit (la periferia dell’eurozona) possono essere sanati da una dinamica divergente dei prezzi tra queste due aree. Un’inflazione più sostenuta in Germania infatti permetterebbe ai Paesi in difficoltà di recuperare competitività di prezzo, che negli anni passati si è persa.

Gli scenari futuri non si prospettano rosei. Il prezzo del petrolio, che nell’ultimo anno ha sostenuto l’inflazione, è destinato a rimanere stabile se non addirittura a calare, con conseguenze dirette e indirette evidenti sui prezzi. L’euro si va rafforzando, contribuendo ad accentuare la caduta dei prezzi, abbattendo quelli dei beni d’importazione. Infine la politica monetaria della BCE va ad esaurire la propria azione: il bazooka di Draghi ha già previsto di dimezzare la propria forza per quest’anno (il QE è passato da 60 miliardi mensili a 30) per andare poi a terminare.

La prolungata azione della BCE sotto la guida di Mario Draghi e le ormai forti pressioni tedesche per un cambio di politica monetaria non lasciano pensare ad ulteriori armi in mano all’Istituto centrale per contrastare efficacemente la situazione.

A livello internazionale si stanno riconsiderando molti parametri riguardo l’inflazione, che da spauracchio sembra ormai essere diventata un fantasma di cui non se ne rinviene traccia. Una eventuale crisi dei mercati finanziari, ipotesi paventata solo pochi giorni fa da Goldman Sachs, potrebbe rappresentare l’evento decisivo per abbattere la già precaria situazione dell’eurozona.

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