La buona fede della Banca secondo il codice antimafia
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Cass., 23 aprile 2015

Il Tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza del 18 ottobre 2013 rigettava l’istanza presentata da Banca delle Marche s.p.a. volta ad ottenere l’accertamento del credito nonché della buona fede in fase di erogazione del mutuo così come disposto dal d.lgs 159/11 alla luce del successivo provvedimento di confisca dell’immobile concesso in garanzia alla Banca.

Il Tribunale respingeva l’istanza non ritenendo provata la buona fede dell’Istituto di credito il quale, secondo l’organo giudicante, erogava il finanziamento senza compiere un adeguata istruttoria capace di rappresentare non solo l’estraneità della Banca all’illecito pregresso (intesa come assenza di accordi sottostanti che svelino la consapevolezza dell’attività illecita realizzata all’epoca dal contraente poi sottoposto ad ablazione) ma anche l’affidamento incolpevole inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza – da rapportarsi al caso in esame – teso ad escludere una rimproverabilità di tipo colposo.

In particolare il Tribunale respingeva la richiesta di accertamento della buona fede dell’istituto bancario evidenziando che il soggetto mutuatario, poi sottoposto alla misura di prevenzione, non presentava dichiarazione dei redditi né denunce di utili della Società di cui era amministratore; sottolineava inoltre che all’epoca dell’erogazione del mutuo vi erano gia precedenti penali e che la società che aveva ottenuto il finanziamento non aveva svolto attività d’impresa e non aveva dipendenti. Dati questi che denotavano il difetto di istruttoria  da parte della Banca in sede di erogazione del mutuo, nel senso che era invece quantomeno dubitabile quale fosse la provenienza delle disponibilità economiche vantate dall’uomo.

Lo stesso orientamento è stato confermato dalla Suprema Corte di Cassazione la quale, con sentenza depositata il 23 aprile 2015, dichiarava l’infondatezza del ricorso proposto dalla Banca avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di primo grado.

La Suprema Corte ha ribadito in primo luogo che la procedura che la parte privata va ad instaurare per ottenere il riconoscimento della opponibilità del credito alla confisca è di natura essenzialmente civilistica pur inserendosi in un contesto che a monte ha dato luogo all’applicazione di una misura di prevenzione personale e patrimoniale.

Da ciò deriva che la parte istante ha un onere dimostrativo della fondatezza della sua pretesa.

Il legislatore, in virtù dell’accertata pericolosità soggettiva del soggetto cui è riferibile il bene confiscato, realizza infatti una presunzione di strumentalità del credito ricevuto da tale soggetto, credito che nel momento in cui ha consentito l’acquisto di un immobile ha reso possibile di fatto un operazione di reimmissione nel circuito economico (attraverso il pagamento del mutuo) di capitali di provenienza illecita.

Ha ribadito la Suprema Corte che si tratta di una conseguenza legale del procedimento che ha dato luogo alla confisca e determina ex lege il trasferimento sul creditore di un onere dimostrativo teso ad invertire la presunzione di cui sopra e che verte pertanto o sulla di dimostrazione della carenza di tale condizione di strumentalità o sulla condizione di ignoranza scusabile di tale nesso.

Ciò posto, nell’articolazione dei dati conoscitivi da porre a sostegno della propria pretesa, la parte creditrice ha il preciso onere di  confrontarsi con le risultanze della procedura di prevenzione che ha dato luogo alla confisca.

Pertanto, ha precisato la Corte, prima del deposito dell’istanza volta ad accertare la buona fede, la parte privata ha il preciso potere/dovere di accedere alle risultanze istruttorie contenute nel fascicolo della procedura di confisca al fine di realizzare il necessario confronto tra la propria prospettiva ricostruttiva e ciò che emerge dal fascicolo in questione.

Ove tale potere non venga esercitato, come nel caso in esame, la parte privata non può dolersi del fatto che in sede valutativa della domanda il giudice dell’esecuzione faccia riferimento alla valenza dimostrativa degli atti contenuti nel fascicolo della misura di prevenzione.

Il giudice pertanto, per valutare l’esistenza o meno della buona fede in capo al soggetto privato ( il quale voglia tutelare il proprio diritto di credito garantito da diritto reale sulla res confiscata) , deve valutare l’uso della diligenza richiesta in un preciso contesto concreto ed evitare un approccio generalizzante, tenendo conto delle condizioni della parti contraenti, dei rapporti personali e patrimoniali tra gli stessi e del tipo di attività svolta dal creditore, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.

Articolo tratto da

iusletter

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