La conferenza stampa della BCE oggi è stata molto attesa dai mercati
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La Banca Centrale Europea ha lasciato invariati i tassi. Per il QE ha comunicato: “Il quantitative easing può ancora aumentare, sia nelle dimensioni degli acquisti di bond che nella sua durata, se le prospettive economiche dovessero peggiorare. Il Qe a 60 miliardi di euro al mese continuerà fino a fine dicembre e oltre se necessario”. La possibilità di aumentare il Qe non era scontata: diversi investitori si aspettavano che tale opzione venisse esclusa dalla Bce per segnalare l’avvicinarsi della fine del programma.

Francoforte ha comunicato di aver lasciato i tassi di interesse invariati. Il tasso principale è allo 0%, quello sui depositi resta negativo a -0,4% mentre il tasso sui prestiti marginali è a 0,25%.

Per Draghi l’euro va monitorato attentamente:  “La recente volatilità del tasso di cambio rappresenta una fonte d’incertezza che richiede di essere monitorata, per le sue implicazioni sulla stabilità dei prezzi nel medio termine”. Il presidente della Bce, Mario Draghi, notando anche l’accelerazione della crescita nell’Eurozona ha anche detto: “La crescita procede solida e ben distribuita. L’inflazione nell’Eurozona deve ancora mostrare segnali convincenti di un rialzo sostenuto.  L’apprezzamento dell’euro è molto importante per la crescita e l’inflazione. Così importante che le prospettive d’inflazione di medio termine sono state riviste al ribasso, e dunque la Bce dovrà tenerne conto nell’insieme delle informazioni con cui prenderà le future decisioni di politica monetaria. La parte preponderante delle decisioni sul quantitative easing sarà presa probabilmente a ottobre”. Così ha concluso il presidente della Bce, Mario Draghi, riferendosi al consiglio direttivo del 25 e 26 ottobre.

La Banca centrale europea ha nuovamente rivisto in meglio le stime di crescita per l’Eurozona per il 2017, portandola al 2,2% dal precedente 1,9%. Invariata l’attesa per un +1,8% nel 2018 e +1,7% nel 2019 ed ha abbassato le sue stime sull’inflazione dell’Eurozona per 2017 (a 1,5%) il 2018 (a 1,2% dal precedente 1,3%) e il 2019 (a 1,5% dal precedente 1,6%).

Le Borse europee sembrano insensibili alle parole del Presidente della Bce, mentre l’euro sale sopra gli 1,20 dollari. I timori legati all’euro forte e alle possibili reazioni del mercato valutario, dettano una linea di prudenza rispetto ad un annuncio che possa essere preparatorio alla normalizzazione della politica monetaria. Ogni indicazione del Presidente Mario Draghi, durante la conferenza stampa, che riguardi il cambio, è preziosa per capire le future mosse della Bce. Analoghe considerazioni possono essere fatte per le condizioni finanziarie in senso lato, che comprendono oltre alla valuta anche i tassi dei mercati.

L’andamento dell’inflazione non convince la Banca centrale europea. È molto probabile che venga ripetuta la diagnosi già espressa nei mesi scorsi: l’inflazione tornerà al 2% in modo graduale, la ripresa tarda a manifestarsi nei prezzi (ma prima o poi lo farà), la dinamica del costo della vita non è ancora autosufficiente e questo comporta molta prudenza da parte della politica monetaria. Ogni variazione di questo schema potrebbe essere importante (anche se è improbabile).

Le considerazioni sull’euro forte (il cambio effettivo è salito del 7% in sei mesi) e sulla diagnosi della dinamica dei prezzi vanno poi confrontate con le nuove proiezioni macroeconomiche. Sono elementi fondamentali perché le previsioni prevedono una politica monetaria invariata: se dovessero mostrare un allontanamento rilevante dagli obiettivi potrebbero invitare a modificare le aspettative sulle scelte della Bce e sui loro tempi.

Qualunque indicazione sui tempi è preziosa. Non solo quelle riguardanti il destino del quantitative easing. La forward guidance, con cui le banche centrali comunicano quali sono le loro previsioni sulle loro stesse azioni, sono diventate uno strumento prezioso della politica monetaria perché plasma le aspettative. Secondo il parere di qualche economista, il quantitative easing, malgrado le smentite della Banca centrale europea, sta incontrando alcuni vincoli tecnici: cominciano a scarseggiare i titoli idonei, e per alcuni paesi l’autorità monetaria è ormai molto vicina a quei tetti che si è autoimposta. I bond acquistabili non possono superare il 33% dei titoli emessi da ciascuno Stato; il totale acquistato per ciascun paese non può superare, in proporzione, la sua partecipazione nel capitale della Bce. Il mantenimento dei due vincoli insieme sta diventando un problema e non si può escludere che prima o poi ci sia qualche modifica. L’opposizione di alcuni governatori, su questo punto, è però ancora molto forte per aspettarsi davvero novità su questo fronte.

Il timone della politica monetaria dell’Eurozona, appare, comunque, ben saldo nelle mani della BCE.

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