La rivoluzione ha un nome: Fintech
Chi sono le pmi innovative?

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Un report di McKinsey spiega che, nei prossimi dieci anni, l’avanzata hi-tech metterà a rischio dal 10 al 40% dei ricavi delle banche tradizionali e fino al 60% degli utili. Per gli istituti italiani, la sveglia è stata suonata dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco: il credito deve adeguarsi alle nuove tecnologie.

 

Difendersi è difficile perché il fortino è stato scardinato un pezzo alla volta: qualche startup s’è presa il mercato dei pagamenti, altre le transazioni, altre ancora i prestiti e le attività consulenza. Per capire la rivoluzione bisogna pensare agli utenti.

 

Cos’è una banca? È interessante ascoltare la risposta dei bambini utenti di Osper, un’app che nel Regno Unito insegna a milioni di piccoli risparmiatori come gestire il loro denaro. Le sterline arrivano dal conto di mamma o papà. Un utente su dieci controlla il conto ogni giorno, può impostare obiettivi di risparmio e imparare il valore del denaro. «Non è un conto, ma per loro questa è la banca», dice il Ceo Alick Varma.

 

Un altro europeo che disegna le banche di domani è il tedesco Valentin Stalf, 30 anni. A Madrid, all’appuntamento di MoneyConf, ha appena annunciato un round di finanziamento da 40 milioni di dollari per la sua banca solo-mobile Number26.

 

La domanda che tutti gli rivolgono è la solita, semplicistica e sbagliata: chi vincerà la battaglia tra startup e banche? Stalf dribbla abilmente l’interrogativo e pensa a come crescere.

 

Il fintech è finanziato più di altri settori – almeno 20 miliardi di dollari nel 2015 – e a MoneyConf è difficile trovare chi non abbia appena chiuso un finanziamento milionario. Ma anche le startup del fintech affrontano i tipici problemi delle startup: dimensione e costi di acquisizione clienti. Number26 è un’idea nuova, certo, ma ha 200 mila clienti. «La banca inglese Lloyd ha due milioni di clienti che usano l’app. Come puoi competere sul lungo termine quando il 92% del mercato è ancora dei grandi?», si chiede Mike Laven, Ceo di CurrencyCloud.

«Se vuoi essere davvero dirompente devi avere una tecnologia unica e difendibile», risponde il Ceo di Kantox, Philippe Gelis. Oltre a tecnologia e migliore esperienza utente, la risposta di molte startup per attirare i clienti delle banche tradizionali è il prezzo, una leva importante. Ma poi le dimensioni finiscono per favorire i grandi: le banche si adattano e possono riprendere i clienti.

 

Il prossimo passo è ancora più importante, una sorta di verifica, anche culturale, sul modello economico. Taavet Hinrikus, fondatore di uno dei pochi unicorni europei, TransferWise, è sicuro: «Le banche pensano: “Quanto posso far pagare per un servizio che mi costa zero?”, mentre noi pensiamo: “Quanto poco posso far pagare?”. C’è ancora un grande spazio da recuperare in termini di trasparenza, per esempio sui mutui».

 

È proprio sui prestiti, sul credito, che i nuovi possono sfidare la vecchia guardia, ingessata da regolamenti e procedure. Non è facile, anche perché usare il capitale ottenuto con i finanziamenti per avviare il mercato del credito è rischioso. Ma quando i modelli di prestito peer to peer sapranno imporsi sul mercato, la partita diventa davvero interessante. Earnest è una banca online californiana che offre credito dopo una valutazione guidata da un software in due minuti. Il Ceo Louis Beryl è fiducioso nonostante le difficoltà dei campioni come Lending Club. «È ancora presto. Siamo nella fase in cui i grandi provano a ignorare quel che succede. Ci saranno ancora problemi ma la strada è segnata, il credito cambierà».

 

L’e voluzione è in corso anche in Italia. «Il retail banking si scompone e si può ricomporre in svariate forme, viene messo in discussione il modello che fa tutto per tutti e che sembrava solo pochi anni fa un dogma», ricorda Roberto Ferrari, general manager di Che Banca!, nel libro che ha appena scritto, “L’era del fintech”.

 

Unicredit investe 200 milioni in start-up, Intesa SanPaolo, che ha il suo centro d’innovazione nel grattacielo di Torino, si è alleata con l’incubatore israeliano The Floor. Fa shopping tra le aziende innovative anche Banca Sella, mentre Monte dei Paschi ha lanciato Widiba, banca che viaggia solo on line. Matteo Arpe, fondatore del private equity Sator, mostra con orgoglio la app Tinaba, acronimo di “This is not a bank”, «L’investimento è stato di 30 milioni», racconta l’ex numero uno di Capitalia. E poi ci sono le piattaforme per i prestiti, da Smartika Prestiamoci.

 

«Le differenze tra startup e banche si stanno riducendo – conclude Neal Cross, capo dell’innovazione della banca singaporiana Dbs -. Le banche hanno solo un problema di ego. Se risolvono quello, è fatta».

 

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