La trappola del caro bolletta
mostrano ormai un trend tutt’altro che momentaneo: gli incrementi delle materie prime, unitamente alle tensioni geopolitiche e alla fiammata della domanda mondiale, appena il virus ha mostrato di allentare la sua morsa, hanno determinato una specie di “tempesta perfetta”
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I dati dell’inflazione mostrano ormai un trend tutt’altro che momentaneo: gli incrementi delle materie prime, unitamente alle tensioni geopolitiche e alla fiammata della domanda mondiale, appena il virus ha mostrato di allentare la sua morsa, hanno determinato una specie di “tempesta perfetta”. I prezzi sono ormai cresciuti di una media stabile in USA del 7% e in Europa non da meno.

Nessun panico ovviamente. Nel medio periodo questa tendenza si stabilizzerà ad incrementi più accettabili ma è difficile che regredisca a tassi comparabili a quelli pre-covid.

I diversi governi stanno cercando di arginare, per quanto possibile, le punte più estreme di questo fenomeno, ma non credo che si potranno davvero attuare interventi di raffreddamento molto efficaci.

In un mondo globalizzato e con economie interconnesse, inevitabilmente “il battito di una farfalla in oriente determina terremoti nell’emisfero occidentale”. Le risposte strutturali richiedono interventi che non possono che avere effetti nel medio-lungo termine, basti pensare alla complessa tematica della transizione ambientale e delle scelte che andranno fatte in materia di approvvigionamenti energetici.

Il nostro Paese, notoriamente scarso di materie prime, dovrà affrontare queste dinamiche con molta attenzione e poca isteria. Non ci sono soluzioni semplici a problemi complessi. Una cosa va detta fin da subito, se non ci fossimo trovati al riparo di una moneta forte, come l’Euro, a quest’ora dovremmo pagare la nostra “bolletta energetica” in Lire! Ve lo immaginate questo scenario? Sgombrato il campo quindi da ogni “sovranismo” dilettantesco, Governo e parti sociali devono dotarsi di una strategia efficace per gestire le conseguenze di questa turbolenta fase.

Gli interventi a sostegno delle imprese, fortemente penalizzate dagli incrementi dell’elettricità e del gas, sono inevitabili e doverosi, così come quelli a favore delle famiglie meno abbienti; ma rimane del tutto scoperto il problema della tutela dei salari reali a fronte di questi picchi inflazionistici.

Qui la materia è davvero complessa, al di là di fughe demagogiche di qualche opinionista che presto farà breccia nella quotidiana narrazione, tutti sappiamo bene che se dovessimo limitarci a “registrare” queste tensioni inflazionistiche nelle retribuzioni, pubbliche e private, rischieremmo solo di innescare una nuova spirale inflazionistica da costi, col risultato di compromettere buona parte della competitività acquisita in questo periodo. Che fare? Rassegnarsi alla perdita del potere reale di acquisto dei salari e delle pensioni? Attendere la comparsa (inevitabile) di una nova fiammata di rivendicazioni salariali come inevitabile risposta a questi livelli di inflazione? Trincerarsi dietro la formale definizione dell’IPCA, che non dovrebbe considerare gli effetti della “inflazione importata dalla crescita esogena delle materie prime”?

Io credo che tutti questi approcci siano insufficienti. Credo che, urgentemente, le Parti Sociali  debbano incontrarsi per decidere che tipo di approccio assumere, seguendo una via maestra che è quella di consentire significativi aumenti del salario nominale in cambio di incrementi altrettanto significativi della produttività, nelle sue varie componenti: Lavoro, capitale, infrastrutture.

Solo in questo modo il CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) sarà sotto controllo e in grado di mantenere la competitività del nostro sistema Paese.

Gli interventi specifici dovranno accelerare ancor di più i piani previsti dal PNNR in materia di infrastrutture, l’intera filiera della Pubblica Amministrazione, dovrà porsi obiettivi stringenti in materia di accorciamento dei tempi di attraversamento delle diverse pratiche autorizzative per consentire una più veloce capacità realizzativa. La stessa riforma della giustizia civile e penale  dovrà essere realizzata in tempi rapidi, per evitare che l’Italia continui ad essere tra le ultime nazioni mondiali per la durata dei processi. In particolare questa riforma ha un diretto impatto sull’attrattività degli investimenti stranieri nel nostro Paese. Nessun imprenditore è disposto a rischiare in un contesto di incertezza e di imprevedibilità del contenzioso giudiziario.

Insomma la modernizzazione del Paese è l’unica risposta, non demagogica, alla sacrosanta richiesta che verrà da parte dei sindacati dei lavoratori di tutela del reddito del lavoro dipendente, questa partita è troppo importante per essere lasciata solo al precario equilibrio della legittima competizione tra le forze politiche.

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