L’Amministrazione Finanziaria torna a fare il punto sull’istituto della residenza fiscale delle persone fisiche

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prestazione occasionaleL’Agenzia delle entrate chiarisce alcuni punti sulla residenza fiscale, interessi economici e familiari.

Un contribuente residente in Svizzera dichiara di volersi trasferire con la famiglia in Italia, nella sua casa di vacanze. La famiglia, composta dalla madre e due figli, ha l’intenzione di trasferire la propria residenza in Italia e di iscriversi nella relativa anagrafe della popolazione residente. I figli, dal canto loro, frequenteranno l’asilo in Italia.

L’Istante precisa, che resterà in Svizzera come dipendente di un’azienda ivi stabilita e soggiornerà tre giorni lavorativi a settimana ( da mercoledì a venerdì ) in Svizzera per motivi di lavoro e di studio. Parte della prestazione lavorativa verrà svolta a distanza soggiornando nella casa vacanza in Italia per non più di 183 giorni all’anno.

Ciò posto il contribuente chiede il parere dell’ Agenzia in merito al trattamento fiscale applicabile al proprio reddito.

LA RISPOSTA dell’Agenzia delle Entrate N. 294/2019:

Stante la peculiarità del caso, l’interpello rappresenta un’occasione per l’Agenzia di tornare a fare il punto sull’ istituto della residenza fiscale, anche alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Nell’ordinamento italiano per stabilire la residenza fiscale delle persone fisiche, occorre fare riferimento alla nozione del TUIR ( art. 2, comma 2° ) in base alla quale si considerano residenti le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza .

Sono così stabilite tre condizioni tra loro alternative. Sarà sufficiente che sia verificato uno solo dei requisiti affinché una persona fisica venga considerata fiscalmente residente in Italia. Tale conclusione andrà esclusa solo laddove i tre presupposti saranno assenti.

Il citato articolo del TUIR rende opportuno riferirsi allora alle nozioni civilistiche di residenza e domicilio. La residenza è definita come “ luogo in cui la persona ha la dimora abituale ” ed è quindi determinata dal fatto oggettivo della stabile permanenza in un luogo e dal fattore soggettivo della volontà di rimanervi. Se ne deduce che “ l’abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del comune di residenza , purchè conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle prorpie relazioni familiari e sociali” . Il domicilio di una persona, invece, coincide con “ la sede principale dei suoi affari ed interessi ” a prescindere dalla presenza effettiva in tale luogo. La locuzione deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari.

In merito ai citati requisiti, l’ Agenzia delle Entrate fa presente che la giurisprudenza italiana ha ulteriormente specificato il concetto di residenza fiscale attribuendo particolare rilievo, “ al luogo nel quale sono prioritariamente localizzati gli interessi economici ed affettivi della persona, partendo dalla sfera delle relazioni personali, intese come vincoli familiari ” ( Cassazione, Sezione V, n. 9723/2015 e n. 12311/2016 ). Dunque, per l’Amministrazione finanziaria costituisce principio consolidato tanto nella giurisprudenza quanto nella prassi la prevalenza dei legami personali sugli interessi economici.

A riguardo, poi, va tenuto in considerazione anche un recente orientamento della Cassazione che ridimensiona fortemente la prevalenza degli interessi familiari su quelli economici. Dapprima la sentenza n. 6501 del 31.03.2015 e successivamente l’ordinanza n. 32992 del 20.12.2018 hanno chiarito che:

“le relazioni affettive e familiari, la cui centrale importanza è invocata dalla ricorrente Agenzia delle Entrate, non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri, idoneamente presi in considerazione nel caso in esame, che univocamente attestino il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento.” ( Cass. n. 6501 del 31.03.2015).

A seguire con l’ordinanza n. 32992 del 20.12.2018 la Cassazione, dopo aver affermato che l’orientamento sulla prevalenza dei legami familiari appare ormai minoritario, ha concluso citando la precedente sentenza per precisare che “ le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza probatoria prioritaria per la residenza fiscale, venendo in rilevo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento ”.

Da tale pronuncia la rilevanza degli interessi familiari, così come quelli economici, ne esce complessivamente ridimensionata. Una volta attestata l’impossibilità di una valutazione preventiva della residenza fiscale da parte dell’Agenzia, non resta altro che affidarsi ad una valutazione d’assieme degli elementi probanti riconducibili al singolo caso concreto che può ingenerare incertezze applicative.

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