L’azienda fondata da Oscar Farinetti si sta trasformando in un vero e proprio flop
Eataly, oggi presente nel mondo con 45 negozi non sta dando i risultati sperati, registrando una perdita nel 2022 di quasi 26 milioni.
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Eataly, oggi presente nel mondo con 45 negozi non sta dando i risultati sperati, registrando una perdita nel 2022 di quasi 26 milioni. E questo fa abbastanza impressione visto che ricordiamo tutti nel 2007 le file di torinesi e di turisti gourmet in arrivo da tutta Italia che aspettava pazienti di entrare nell’ex storica fabbrica di liquori della Carpano, sede del primo Eataly, per comprare le specialità delle regioni italiane o per visitare la caverna del piano interrato dove scoprivano i salumi delle meraviglie. Poi le aperture in pompa magna in tutto il mondo: dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Svezia alla Germania, dalla Turchia alla Francia, dalla Corea del Sud agli Emirati Arabi, dal Qatar all’Arabia Saudita… Senza contare i nuovi store italiani. Ma forse, per come stanno andando le cose, sembra proprio, che tolti i fasti iniziali, Eataly sia rimasto solo un semplice ristorante – mercato, ahimè, troppo costoso, soprattutto al giorno d’oggi.

Eataly continua accumulare debiti

Come dicevamo, infatti, qualcosa non ha funzionato: l’esercizio 2022 è stato chiuso nella parte civilistica con un rosso di 25,8 milioni di euro, peggiore di quello di 22,1 milioni del precedente bilancio. Il disavanzo è stato riportato a nuovo e così le perdite accumulate e finora non ripianate sono arrivate a 70 milioni, a fronte, però, di un patrimonio netto di 58,7 milioni.

Non bene nemmeno per i numeri del consolidato in quanto il rosso anno su anno diminuisce da 31,2 a 28,6 milioni e ciò anche se i ricavi sono saliti da 462 a 601 milioni e l’ebitda è stato di 25,5 milioni. Il gruppo, da dicembre guidato dal nuovo amministratore delegato Andrea Cipolloni, a maggio del 2022 è stato finanziato dai soci per 15 milioni.

Eataly, dall’idea geniale al flop?

Insomma, numeri che già da qualche anno fanno pensare che qualcosa non stia andando come tutti si sarebbero aspettati. E che un’idea geniale, bisogna riconoscerlo, di Farinetti, lo era più sulla carta che non nella realtà.

Certo, forse, di errori di valutazione non sono mancati: pensiamo ad esempio a Eataly Bari, aperto nel 2013, credendo nel progetto di rilancio dell’area della Fiera del Levante, che ha poi, infatti, chiuso i battenti nel 2021. Il colpo di grazia di Eataly Bari (come per quello di Forlì) è stato certamente la decisione della zona rossa e le restrizioni della pandemia ma le criticità c’erano già prima del Covid. Più che altro, pensiamoci, al sud Italia, in particolare, un format come Eataly, ovvero un mercato dall’atmosfera familiare di prodotti del territorio, piccoli e raffinati, con prezzi da ristorante di lusso, non è un controsenso e di certo economicamente non sostenibile?

Il disastro di Fico Eataly World e i dubbi su Green Pea

Stessa “sorte” per Fico Eataly World, la Disneyland del cibo firmata Coop e Oscar Farinetti, costruita in un’ex area industriale di Bologna con grandi obiettivi e aspettative per il territorio e il made in Italy, e mai decollato: ogni anno il bilancio di Fico si chiude con perdite che vanno dai 2 ai 3 milioni di euro. Ora Farinetti, che ne ha preso in mano la gestione al 100%, tenta il tutto per tutto pur rilanciare il luna park del cibo. Ma la domanda sorge spontanea: non è che anche Fico sia più un format più da città americana che in Italia?

E che dire di Green Pea, ultimo progetto imprenditoriale di Oscar Farinetti e primo centro commerciale al mondo dedicato al rispetto per il Pianeta, nato a Torino nel 2020: non un disastro come Fico e nemmeno come Eataly, ma a tre anni di distanza non sembra convincere a pieno. Al 31 dicembre 2020, con meno di un mese di attività, il Green Pea realizzava un fatturato di quasi 979mila euro, per una perdita di 41.577 euro. Il primo vero bilancio annuale riguarda il 2021, e riporta un giro d’affari di oltre 6,66 milioni di euro. Con un risultato ancora in perdita (-11.473 euro), ma in miglioramento.

Quindi che dire, al di là dei progetti imprenditoriali o meno, di privati o statti, forse è il caso che si rifletta meglio su come promuovere e valorizzare il Made in Italy in Italia e all’estero (turismo compreso).

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