Le commissioni di massimo scoperto sono dovute
riconoscimento

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Tribunale Parma, 11 luglio 2015

Tra le altre eccezioni, il debitore contestava l’addebito in conto corrente delle commissioni di massimo scoperto e lamentava il mancato invio, da parte della banca, degli estratti conto periodici, nonché la mancata consegna di copia del contratto di conto corrente.

Con riguardo al primo aspetto, il Giudice ha dapprima osservato come, sino alla modifiche introdotte dalla legge 2/09, le banche hanno utilizzato diversi modelli di c.m.s., che variavano dal pagamento di una somma percentuale calcolata sul fido accordato e non utilizzato, al pagamento di una somma percentuale sull’ammontare massimo del fido utilizzato, sino ad una combinazione di entrambi i modelli.

Secondo l’orientamento al quale ha ritenuto di aderire il Giudice, la c.m.s. deve ritenersi legittima, atteso che la stessa è sempre stata considerata come il corrispettivo per semplice messa a disposizione da parte delle banche di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo, ovvero come la remunerazione per il rischio al quale sono esposti gli  istituti di credito nel concedere ai correntisti affidati l’utilizzo di una determinata somma, a volte oltre il limite stesso del fido (dai due concetti è poi nata la distinzione delle metodologie impiegate). Il Tribunale di Parma ha, però, precisato che, stante la non riconducibilità della c.m.s. ad un’unica fattispecie giuridica, è necessario che la stessa nei contratti sia indicata con sufficiente determinabilità.

Per quanto concerne, invece, le asserite mancanze in punto documentazione contrattuale, il G.U. ha evidenziato che nel contratto di conto corrente era riportata la dichiarazione, espressamente sottoscritta dal cliente, di aver ricevuto una copia del contratto medesimo. “Analogamente” prosegue il Giudice “il sig. …. non risulta aver mai sollecitato la Banca ad inviargli i periodici estratti conto, per cui ben può presumersi che li abbia sempre ricevuti (e mai contestati)”.

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