Le connected car stanno diventando un business sempre più appetibile
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A muoversi, e con estrema decisione, ci sono infatti i fondi di investimento e i venture capital.

Il 2015, lo dice un report pubblicato da CB Insights, è stato un anno d’oro per le startup che sviluppano software e sistemi per la guida assistita, la connettività e la sicurezza dentro l’abitacolo: i deal su scala mondiale sono stati 41, in salita del 58% rispetto all’anno precedente, mentre il valore dei finanziamenti erogati è cresciuto del 154% a quota 409 milioni di dollari. Gli Usa sono l’epicentro delle startup legate alle auto connesse e lo conferma anche uno studio di Lsp Digital, secondo cui solo il 4% delle nuove imprese tecnologiche attive in questo campo sono basate in Germania, contro il 55% degli Stati Uniti e l’8% dell’India. E l’Italia? Qualcosa si muove, sebbene i numeri in gioco siano drasticamente inferiori. La “call for ideas” Car Innovation 2016 lanciata da Euro Engineering (Gruppo Adecco) e l’incubatore Digital Magics in collaborazione con diversi partner di peso (Allianz Global Assistance, Crf del gruppo Fca, Ibm, Innogest e Magneti Marelli), per esempio, ha selezionato a Milano dodici startup (fra la trentina di candidate) che sviluppano soluzioni hardware e software e modelli di business innovativi per il mondo delle due e quattro ruote.

Ma quante sono, dove nascono e quanto potrebbero raccogliere le startup nostrane delle connected car? Secondo Edmondo Sparano, Chief Digital Officer di Digital Magics, al di là di casi isolati come VisLab o BeonD, «in Italia c’è tanta sperimentazione e tante idee, basta vedere cosa sta succedendo su Kickstarter e Indiegogo, ma ancora pochi soldi sul segmento». L’altro termine di paragone sono le dimensioni delle operazioni in gioco: «General Motors – dice ancora il manager – ha pagato un miliardo di dollari per un’azienda di 40 persone fondata nel 2013 e con un investimento di venture capital da 20 milioni di dollari. Questa è la differenza: 20 milioni di investimento e un exit da un miliardo contro i 30 milioni della migliore exit italiana (VisLab, ndr). Un rapporto 1 a 30». Per emergere servono risorse, competenze e strutture di testing adeguate ed è per questo vitale che le case automobilistiche comincino a interessarsi seriamente all’innovazione generata dalle startup. Gli esempi non mancano, da Tesla per arrivare a Ford, che ha creato con Techstars un incubatore per 30 startup che in tre anni riceveranno 120 mila dollari ciascuna.

Tornando all’Italia, l’analisi di Domenico Cipollone, Vice President di Capgemini Italia, ci conferma come «la nostra industria, e non solo quella dell’automotive ha un’attenzione inferiore al tema perché manca, al momento, una vision precisa sul fenomeno». Il ricorso alle nuove imprese innovative è molto limitato nell’ottica di una strategia di follower, mentre Germania e Francia «hanno investito molte risorse interne nel business dell’IoT e nello sviluppo delle connected car, e sono quindi avanti rispetto a noi dal punto di vista del processo di innovazione interna». Negli Stati Uniti, invece, «i principali gruppi, pur con qualche eccezione come Tesla, non sono ancora allo stesso livello di avanguardia tecnologica delle principali case europee e per questo guardano con estrema attenzione alle startup per recuperare il gap», conclude.

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