Le pensioni di invalidità nel Mezzogiorno sono pari al 43,8% del totale
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Ricordate le parole pronunciate da Matteo Renzi due mesi fa al partito democratico? «Se il Sud è in difficoltà è inutile attribuirne la responsabilità a chi ha abbandonato il Sud. La retorica Sud abbandonato è autoassolutoria per una parte dei dirigenti del Mezzogiorno» Per concludere: «Basta con i piagnistei». Verissimo che l’autocommiserazione abbia dato un contributo decisivo alle condizioni in cui versano da troppo tempo le regioni meridionali. Ma che in tutti questi anni ci sia stato il massimo impegno da parte della politica per affrontare una situazione di divario inaccettabile in qualunque Paese europeo, non si può di certo affermare. A meno che per impegno non si intenda l’attività clientelare. Da quel punto di vista si è fatto decisamente molto, come fa rilevare uno studio della Confartigianato.
Le pensioni di invalidità nel Mezzogiorno, territorio nel quale risiede circa un terzo della popolazione italiana, ne vengono distribuite un milione 150.027, pari al 43,8% del totale, per un costo di circa 17 miliardi. Lo squilibrio è clamoroso. Ma questo numero dice molto di più se viene paragonato a quello di tutti i lavoratori del settore artigiano. Al Sud gli invalidi civili sono quasi il doppio di loro: il 188,3%. Al contrario, nel Centro Nord il rapporto fra le pensioni di invalidità e gli artigiani è pari al 66,7%.
Certo sappiamo che al Sud il lavoro nero è molto più diffuso che nelle regioni meridionali. Tale ovvia considerazione, tuttavia, non può mitigare dati sconvolgenti. In Sicilia il rapporto fra invalidi civili pensionati e artigiani è del 196,6%. In Calabria si sale al 233,2%. E in Campania arriviamo addirittura al 279,1%. Il documento della Confartigianato sottolinea come le pensioni di invalidità pesino per il 22,8% sul totale degli assegni previdenziali corrisposti a cittadini dell’Italia meridionale, a fronte del 13,5% nel resto del Paese.
E se il presidente dell’organizzazione Giorgio Merletti insiste che «le politiche per il Sud hanno fallito» e dice che è ora di finirla «con l’assistenzialismo e gli interventi a pioggia» mentre bisognerebbe «valorizzare le esperienze imprenditoriali e investire sui giovani», da queste cifre appare chiaro come l’inversione di rotta sia un’impresa titanica. La crisi, poi, ha assestato una mazzata violentissima. Fra il 2008 e il 2015 il numero dei disoccupati nel Meridione è lievitato di ben 627 mila unità. Nel 2014 il tasso di occupazione della popolazione in età da lavoro è sceso al 41,8%, per risollevarsi appena al 42,6% con la flebilissima ripresa di quest’anno. Parliamo di un valore ben inferiore al 51% che nonostante la situazione difficilissima dell’economia ellenica si registra in Grecia. Alla fine dello scorso anno il baratro fra il Sud e il Centro-Nord, dove gli occupati erano il 63,3%, aveva raggiunto il massimo storico di 21,5 punti. Esattamente il contrario di ciò che è accaduto, per fare un esempio, in Germania. Mentre in Italia il gap fra il Centro Nord e il Sud è cresciuto progressivamente dal 2003 fino a raggiungere nel 2013 il 19%, il tasso di occupazione dei tedeschi dell’ex Est si avvicinava progressivamente a quello dei loco concittadini dell’ex Ovest, dal quale distava alla fine dello stesso anno soltanto 4,2 punti. E così il Mezzogiorno non si scrolla di dosso l’orribile primato della più bassa occupazione d’Europa. In Calabria lavorano soltanto 37,9 persone in età da lavoro su cento residenti. Appena preceduta da Campania con il 39,7%, Sicilia (40%), (Basilicata (50,2), Sardegna (50,3) e Molise (50,9). La situazione delle donne è semplicemente catastrofica. Per ogni 100 occupate nel settore privato ce ne sono ben 206 ,2 senza lavoro, contro 55,5 nel Centro Nord .

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