Le start-up innovative godono di un regime agevolato per quanto riguarda la composizione della crisi
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Il Legislatore ha, infatti, introdotto un regime di favore non soltanto per la costituzione e le successive fasi della “vita” della start-up innovativa, ma anche per la gestione dell’eventuale crisi economica, considerando il profilo altamente rischioso degli investimenti in attività innovative.

Al fine di ridurre i tempi di soluzione della crisi d’impresa, l’art. 31, comma 1, del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. Decreto Crescita 2.0), convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha stabilito che “la start-up innovativa non è soggetta a procedure concorsuali diverse da quelle previste al Capo II della Legge 27 gennaio 2012, n. 3”. Le start-up innovative, pertanto, non sono soggette alle “classiche” procedure concorsuali, quali il fallimento, il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa, bensì è previsto il loro assoggettamento, in via esclusiva, ai procedimenti di composizione della crisi da sovra-indebitamento e di liquidazione del patrimonio, che la sopra citata Legge n. 3/2012 riservava – prima dell’estensione di tale disciplina alle start-up innovative, agli imprenditori agricoli ed alle associazioni professionali – unicamente agli imprenditori che esercitano attività commerciali. In particolare, questi ultimi devono dimostrare di: i) aver avuto, negli ultimi tre esercizi o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad € 300.000,00; ii) aver realizzato, negli ultimi tre esercizi o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200.000,00; iii) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad € 500.000,00.

La scelta di sottrarre tali imprese alle procedure concorsuali persegue un duplice obiettivo: da un lato, diminuire i tempi della liquidazione giudiziale delle start-up in crisi, prevedendo un procedimento semplificato rispetto a quelli previsti dalla legge fallimentare, fondato sulla mera separazione del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori concorsuali; dall’altro lato, evitare che l’imprenditore innovativo si veda in qualche modo limitare la possibilità di ripartire con un nuovo progetto imprenditoriale alternativo.

L’oggetto sociale delle start-up innovative – ovvero lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico – costituisce il motivo essenziale di tale deroga, che opera esclusivamente in presenza della qualifica di start-up innovativa (che, come noto, si acquisisce tramite l’iscrizione nella relativa sezione speciale del Registro delle Imprese) e solo per un periodo temporale determinato, ossia i primi quattro anni di attività dell’impresa a partire dalla data di costituzione ed a condizione che in tale periodo l’impresa mantenga i requisiti di start-up innovativa previsti dall’art. 25, comma 2, del Decreto Crescita 2.0. Tale deroga al diritto fallimentare non trova, invece, applicazione per le PMI innovative, introdotte nel nostro ordinamento dal Decreto Legge 24 gennaio 2015 n. 3 (c.d. Investment Compact), il quale ha esteso alle PMI innovative l’applicazione di tutta una serie di deroghe e trattamenti di favore previsti per le start-up innovative, ma non, ad esempio, l’applicazione della deroga al diritto fallimentare oggetto di questo contributo.

Entrando brevemente nel merito della procedura, la gestione della crisi di una start-up innovativa coincide con il c.d. procedimento di composizione della crisi da sovra-indebitamento[1] e di liquidazione del patrimonio. La proposta di accordo si deposita presso il Tribunale del luogo di residenza o sede del debitore e deve contenere l’elenco dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti, l’attestazione della fattibilità del piano rilasciata dall’organismo di composizione della crisi (iscritto in apposito Registro presso il Ministero della Giustizia) e l’ulteriore documentazione menzionata all’art. 9 della Legge n. 3/2012. Il decreto di apertura della procedura determina il blocco delle azioni esecutive individuali e dei sequestri conservativi, impedisce l’iscrizione di ipoteche giudiziali e volontarie ed in genere l’acquisizione da parte di creditori di diritti di prelazione sul patrimonio del debitore.

La procedura, dalla durata di sei mesi, permette infatti al debitore, con l’assistenza dell’organismo di composizione della crisi e sotto la vigilanza del Tribunale competente, di proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti, il quale verrà omologato dal Tribunale in caso di approvazione da parte di un numero di creditori che rappresenti almeno il 60% dei crediti. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, per i crediti  dei quali la proposta preveda l’integrale pagamento, non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta. In caso di raggiungimento della predetta percentuale, l’accordo diviene obbligatorio per tutti i creditori, anche dissenzienti, aventi titolo anteriore all’apertura della procedura.

A differenza della procedura di concordato preventivo, i creditori con titolo o causa posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano relativo all’accordo omologato. Se dopo l’omologazione viene dichiarato il fallimento, l’accordo si risolve e gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare, mentre i crediti derivanti dai finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo omologato sono prededucibili nella procedura fallimentare.

La conversione della procedura di composizione della crisi da sovra-indebitamento in procedura di liquidazione del patrimonio può aver luogo, su istanza del debitore o di uno dei creditori, nelle seguenti ipotesi: i) in caso di annullamento dell’accordo omologato; ii) in caso di risoluzione per inadempimento dell’accordo imputabile al debitore; iii) qualora il debitore non esegua integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; iv) in caso di revoca dell’accordo omologato qualora risulti che il debitore abbia compiuto atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

La domanda di liquidazione si deposita presso il Tribunale competente, con allegata una relazione dell’organismo di composizione della crisi. La vendita dei beni viene effettuata da un liquidatore che utilizza il ricavato per soddisfare i creditori che hanno presentato domanda di partecipazione alla liquidazione. A tal riguardo, si evidenzia che la start-up innovativa, così come tutti gli altri soggetti che usufruiscono di questa particolare procedura, deve mettere a disposizione, al fine di soddisfare i creditori, tutti i propri beni, inclusi quelli che sopraggiungano nei quattro anni successivi all’apertura della procedura. Sono esclusi dalla liquidazione: i) i crediti impignorabili exart. 545 c.p.c.; ii) i crediti aventi natura alimentare e di mantenimento, stipendi, salari, pensioni e ciò che il debitore guadagna con la propria attività, nei limiti, definiti dal Giudice, di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia; e iii) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, nonché i beni costituiti in fondo patrimoniale e i loro frutti.

La procedura è regolata da disposizioni che, anche nella loro formulazione letterale, sembrano ispirate a quelle vigenti in materia di fallimento, in quanto anch’essa fondata sulla liquidazione del patrimonio, condotta da un organo della procedura che amministra i beni, e su una fase di accertamento delle passività. È assente, tuttavia, un rinvio espresso alla normativa fallimentare per quanto non disciplinato nella Legge n. 3/2012 e, di conseguenza, spetta al Giudice, di volta in volta, valutare l’applicabilità o meno in via analogica dei corrispondenti istituti della legge fallimentare.

Infine, si noti che, a differenza del fallimento, lo stato passivo e il programma di liquidazione non sono oggetto di approvazione né da parte dei creditori, né da parte del Giudice. La legge non disciplina le modalità di chiusura della procedura, ma si ritiene che il procedimento non possa essere dichiarato concluso finché non siano liquidati tutti i beni.

Premessa tale breve esposizione “procedurale”, si evidenzia come i dati ad oggi reperiti testimoniano il successo della formula “start-up innovativa”, in quanto alla data del 21 novembre 2016 risultano iscritte ben 6.606 in tutto il territorio nazionale, delle quali solamente qualche decina  si trova attualmente in liquidazione. Le start-up innovative che hanno avviato il procedimento di composizione della crisi da sovra-indebitamento non sono invece censite presso le Camere di Commercio e, pertanto, non è possibile stimare il loro numero. L’esiguo numero di procedure di liquidazione che risulta dai dati pubblici in nostro possesso sembrerebbe, però, confermare i buoni risultati raggiunti dal procedimento di composizione della crisi ed i relativi vantaggi.

Si evidenzia, inoltre, come l’art. 14-terdecies della Legge n. 3/2012 abbia previsto a favore dei soggetti che non hanno accesso alle procedure concorsuali – e dunque anche a favore degli imprenditori “innovativi” – l’ammissione al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali e non soddisfatti al termine della procedura di liquidazione (c.d. “esdebitazione” o “fresh start”), ad eccezione delle procedure in cui la proposta omologata preveda soltanto una moratoria o una dilazione.

In particolare, il Giudice concede il beneficio dell’esdebitazione al debitore, previa istanza da depositarsi entro l’anno successivo alla chiusura della liquidazione, in caso di sussistenza di precise condizioni di “meritevolezza”. Per converso, l’esdebitazione del debitore è esclusa: i) quando il sovra-indebitamento è imputabile ad un ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle capacità patrimoniali e reddituali; oppure ii) quando il debitore, nei cinque anni precedenti all’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, ha posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti od altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri.

Nonostante l’entrata in vigore della predetta disciplina in materia di composizione della crisi da sovra-indebitamento sia relativamente recente, nelle nostre aule parlamentari è già in corso l’iter di esame e di approvazione del progetto di riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza elaborato dalla c.d. Commissione Rordorf, la quale ha previsto criteri direttivi per il riordino e per la semplificazione delle procedure di sovra-indebitamento di cui alla Legge n. 3/2012. Nello specifico, le proposte di riforma sono volte, tra l’altro, a: i) individuare criteri di coordinamento nella gestione delle procedure di sovra-indebitamento riguardanti più membri della stessa famiglia; ii) disciplinare soluzioni dirette a promuovere la continuazione dell’attività svolta dal debitore, nonché le modalità della loro eventuale conversione in soluzioni liquidatorie; iii) consentire al debitore meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno futura, di accedere all’esdebitazione solo per una volta, salvo l’obbligo di pagamento del debito entro tre anni, laddove sopravvengano utilità; iv) precludere l’accesso alle procedure ai soggetti già esdebitati nei cinque anni precedenti la domanda, o che ne abbiano beneficiato per due volte, ovvero nei casi di frode accertata; v) e, in particolare, ammettere all’esdebitazione anche altre persone giuridiche (ulteriori rispetto a quelle che già possono usufruire di tale beneficio, come le start-up innovative), su domanda e con procedura semplificata, purché non ricorrano ipotesi di frode ai creditori o volontario inadempimento del piano o dell’accordo.

Con l’estensione alle start-up innovative delle procedure di esdebitazione e di composizione della crisi da sovra-indebitamento ed alla luce delle sopra citate proposte di riforma elaborate dalla Commissione Rordorf, ritengo che il Legislatore italiano abbia avviato un percorso di “responsabilizzazione” (anche) dell’imprenditore innovativo e stia proseguendo in tal senso. Obiettivo delle procedure sopra esaminate è, infatti, evitare, innanzitutto, il “fallimento” (sia in senso lato sia in senso strettamente giuridico) del progetto dell’imprenditore innovativo e permettere a quest’ultimo il c.d. fresh start, ossia il risanamento e la “rinascita professionale” senza alcun pregiudizio causato dal precedente insuccesso. Per tali ragioni, anche nel progetto di riforma Rordorf riveste un ruolo di primaria importanza la previsione di modalità che consentano l’emersione tempestiva della crisi d’impresa, al fine sia di limitare le perdite patrimoniali sia di permettere un eventuale ed effettivo risanamento aziendale.

Come visto, il progetto di riforma prevede, infatti, l’estensione delle procedure di esdebitazione e di composizione della crisi anche alle persone giuridiche ulteriori rispetto alle start-up innovative (soggetti a cui, ad oggi, sono applicabili solamente le “classiche” procedure concorsuali) al fine di agevolare l’accordo tra debitore e creditori nell’interesse di entrambe le “parti”. Il successo della procedura di composizione della crisi per le start-up innovative ha sicuramente contribuito a tale proposta di riforma, contenente anche misure premiali per l’imprenditore in crisi che ricorra tempestivamente alla predetta procedura e ne favorisca l’esito positivo. Al tempo stesso, ritengo che il Legislatore dovrà contestualmente prevedere precise condizioni per l’accesso del debitore a tali procedure e mantenere un controllo “giudiziario” o, in ogni caso, una vigilanza da parte di specifici organismi di composizione della crisi sull’intero procedimento, al fine di evitare situazioni di abuso del diritto come, in passato, si erano verificate per il concordato preventivo “in bianco”. L’auspicio è che il progetto di riforma non interrompa, ma, al contrario, disciplini ed agevoli sempre più quel processo di “privatizzazione” della crisi d’impresa a cui stiamo ormai assistendo da diversi anni, da non intendersi, però, come integrale attribuzione ai privati della gestione della fase di insolvenza e contestuale esclusione di qualsiasi intervento dell’autorità giudiziaria. La crisi d’impresa abbraccia, infatti, una pluralità di interessi, sia pubblici che privati, e, pertanto, ritengo che l’intervento dell’autorità giudiziaria (o di un organismo terzo) debba permanere al fine di garantire l’idoneità dell’accordo proposto dal debitore (a maggior ragione se società di capitali) a soddisfare le ragioni dei creditori.

 

Fonte: Altalex

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