Il Tribunale di Padova, con la pronuncia in commento, ha affrontato la problematica della usurarietà dei tassi di interesse nei contratto di mutuo in relazione anche alla sentenza n. 350 del 2013 della Corte di Cassazione. I soggetti attori convenivano in giudizio la banca deducendo che il tasso di interesse pattuito in relazione al contratto di mutuo a tasso variabile stipulato avrebbe superato il tasso soglia. Parte attrice, richiamava, al fine di supportare la propria tesi, la sentenza n. 350/2013 della Corte di Cassazione sostenendo che la stessa avesse affermato che, ai fini della verifica della usurarietà dei tassi pattuiti, il tasso convenzionale e quello moratorio andassero sommati.
Il Tribunale veneto ha ritenuto tale tesi assolutamente infondata definendola addirittura una “mostruosità”. Secondo il giudice di merito infatti la celebre pronuncia della Suprema Corte ha semplicemente affermato che il tasso di mora deve essere considerato ai fini della valutazione della usurarietà e che, pertanto, il Giudice deve verificare se il tasso di interesse corrispettivo e quello di mora, considerati singolarmente, superino o meno il tasso soglia. Pertanto gli interessi di mora devono essere “tenuti in conto”, e, dunque, per valutare se le pattuizioni di un contratto di mutuo siano o meno legittime, si dovrà verificare che sia gli interessi di mora che quelli convenzionali siano al di sotto della soglia usura. Il Tribunale di Padova ha altresì sottolineato come la fantasiosa deduzione di parte attrice non trovasse alcun riscontro nel testo della sentenza della Cassazione e ha ritenuto che l’ostinazione nel sostenere tali tesi fosse addirittura sintomo di ignoranza del dettato normativo nonché dell’evoluzione giurisprudenziale o in alternativa potesse qualificarsi quale dolo processuale, che si concretizza nel tentativo di indurre in errore l’organo giudicante.
Il giudice di merito ha quindi affermato che tale comportamento processuale merita di essere sanzionato opportunamente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., facendo emergere la volontà di creare un contenzioso seriale in materia bancaria, una materia estremamente tecnica e complessa che meriterebbe un diverso approccio. Tale responsabilità aggravata potrà essere sanzionata, non soltanto su istanza di parte, ma anche d’ufficio ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c., norma quest’ultima introdotta dal legislatore nel 2009 quale forma di punitive damages in considerazione anche del danno che viene arrecato al sistema giudiziario da procedimenti aventi finalità meramente strumentali e dilatorie.
Proprio alla luce di tutte le predette considerazioni il Tribunale di Padova, rigettando le domande di parte attrice, ha condannato la stessa a rifondere alla banca convenuta la incredibile somma di euro 43.525,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c., ritenendo tale sanzione equa e calcolandola, sulla base anche dell’ordinanza n. 21579 del 30.11.2012 della Cassazione, moltiplicando per cinque le spese di lite liquidate come da DM 55/2014.