Mussari: «Non sapevo dei derivati di Mps»

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Nel primo processo della maxi inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena, dedicato al reato di ostacolo alla vigilanza sui prodotti derivati, ieri per la prima volta i due imputati eccellenti hanno parlato e raccontato di fronte ai giudici e ai pm la loro verità. L’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex presidente Giuseppe Mussari hanno ricostruito i passaggi che nel 2009 portarono alla ristrutturazione del prodotto finanziario Alexandria, sottoscritto nel 2005 con Dresdner e poi rinegoziato con Nomura, e causa di una perdita in bilancio di oltre 220 milioni nel 2009. Ed entrambi nell’aula di tribunale – difesi, rispettivamente, da Roberto Borgogno e Enrico De Martino; Fabio Pisillo e Tullio Padovani – hanno sottolineato come nulla sia stato occultato di fronte a Bankitalia, e soprattutto come in realtà ci fosse ben poco da occultare visto che il contratto con Nomura già parlava chiaro ed era noto a tutti. Infine, entrambi, declinano le responsabilità, sottolineando come nella struttura bancaria si occupassero di altro, non di aspetti tecnici legati ai derivati che, in realtà, ripetono tutti e due, qualcun’altro avrebbe dovuto esaminare: per Mussari la persona responsabile doveva essere Vigni e la struttura finanziaria; per Vigni l’area Risk management e il direttore finanziario, oltre al cda.
Questa in sostanza la visione dei due imputati relativamente al cosiddetto “mandate agreement”, quel contratto che secondo i pm Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso avrebbe permesso agli organi di vigilanza di capire il collegamento tra il primo derivato sottoscritto con Dresdner e il secondo rinegoziato con Nomura, mettendo in luce che le risorse uscite dalle casse di Mps, pari a 220 milioni, non erano frutto di un’operazione di semplice di carry trade, ma un vero e proprio pagamento versato a Nomura per il ripianamento delle perdite causate dal primo derivato sottoscritto nel 2005 con Dresdner. Pagamento che quindi doveva essere messo a bilancio e inserito come passività, cosa che invece non venne fatta. Perché? Secondo l’accusa perché in questo modo poteva essere mostrato un bilancio più sano della realtà, mentre invece la liquidità drenata a causa dell’acquisizione di Antonveneta non avrebbe permesso di distribuire alcun dividendo, mettendo in luce la precarietà delle decisioni del management. Questo è in sostanza il cuore dell’impianto accusatorio degli inquirenti, la procura di Siena e il nucleo valutario della Guardia di Finanza.
La mattinata del processo è stata dedicata all’interrogatorio di Vigni, che ha iniziato la sua difesa parlando del periodo di crisi finanziaria del 2008-2009. «Ci siamo preoccupati per i titoli americani dopo il fallimento della Lehman Brothers, così decidemmo di sottoscrivere Alexandria, come contratto cautelativo». Inoltre l’ex dg ha precisato che «il cda non doveva essere informato sui singoli contratti, di cui si occupavano le aree. Ma non ho mai pensato di fare scorrettezze. Sapevo che era un’operazione complessa ma avevo l’animo sereno. Avevo avuto l’assicurazione che il Cfo Marco Morelli e il capo dell’area finanziaria Gianluca Baldassarri l’avrebbero seguita. E non c’è stato alcun occultamento, di cosa si trattava era già chiaro nel contratto».
Mussari ha sottolineato come da parte sua non ci fossero ambizioni di preservare il ruolo a capo della banca e di come dietro la scelta di Alexandria ci sia stata anche «la volontà di preservare il rapporto con gli investitori, per poter distribuire dividendi quando il bilancio aveva un utile netto di oltre 200 milioni». Infine dice che il suo ruolo era di «rappresentante legale, senza competenze tecniche, senza mai vedere il mandate agreement e soprattutto senza occultare nulla».

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