Nel 2015 l’economia del Veneto è ripartita
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La crescita è modesta, sostenuta più dall’accelerazione dei consumi delle famiglie e degli investimenti delle imprese che dalla dinamica delle esportazioni. Nel 2016 l’attività economica dovrebbe consolidarsi, con un apporto significativo della domanda interna e un lieve rallentamento delle esportazioni. Non vi sono tuttavia attese di una vera fase espansiva, in grado di riportare velocemente l’economia regionale vicina ai livelli pre-crisi.

La 49esima edizione del Rapporto annuale di Unioncamere Veneto ripercorre il 2015, descrivendo le dinamiche che hanno caratterizzato l’economia e la società regionale e tracciando alcune previsioni per l’anno in corso.

Mette in luce alcuni fattori di sviluppo che potrebbero consolidare la crescita del sistema economico nei prossimi anni partendo dalle criticità che oggi frenano l’economia regionale.

Concentra l’attenzione sui numeri che descrivono l’avvio della nuova fase di crescita e sui soggetti economici che si muovono nel sistema produttivo, imprese e famiglie, giovani e studenti, lavoratori e disoccupati, banche e istituzioni, al fine di cogliere gli elementi critici, i fattori dinamici e le esigenze di intervento da suggerire ai decisori politici.

Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che l’output globale nel 2015 è cresciuto del 3,1 per cento, esito di un incremento dell’1,9 per cento per le economie avanzate e del 4 per cento per le economie emergenti e in via di sviluppo. Le proiezioni previsionali relative al 2016 non superano il 3,2 per cento, mentre nel 2017 la crescita del prodotto dovrebbe attestarsi al 3,5 per cento.

A livello europeo le stime della Commissione vanno nel senso di un incremento dell’output dell’1,6 per cento nel 2016 e dell’1,8 per cento l’anno seguente; a trainare la ripresa rimarrà comunque la domanda interna stimolata dai provvedimenti di politica monetaria varati dalla BCE e alimentata dal calo del prezzo delle commodity, dall’andamento evolutivo del mercato del lavoro e dal timbro prudentemente espansivo delle politiche fiscali.

Il 2015 per l’economia italiana è stato l’anno della svolta: per la prima volta dopo un triennio recessivo il PIL è tornato a crescere (+0,8%): il principale propellente del motore economico italiano si è rivelato la domanda interna, in aumento dell’1,5 per cento, mentre il contributo delle esportazioni nette è stato negativo soprattutto per i maggiori flussi importati. Il Documento di Economia e Finanza (DEF) del Governo delinea un contesto moderatamente favorevole per cui lo scenario “tendenziale” vede il PIL italiano crescere dell’1,2 per cento in termini reali per poi stabilizzarsi su questo livello negli anni seguenti; driver del processo virtuoso sarà la domanda interna: saranno prevalentemente i consumi delle famiglie, spinti da un maggior reddito disponibile e dagli incrementi occupazionali, a trainare la crescita ma anche per gli investimenti si prefigura una dinamica favorevole.

Il PIL regionale ha chiuso il 2015 con una crescita dello 0,8 per cento che raddoppia la percentuale registrata nel 2014 (+0,4%) ma si pone al di sotto delle stime previsionali dei principali Istituti di ricerca. Tale crescita modesta è frutto dell’incremento delle esportazioni, ma dopo alcuni anni anche i consumi delle famiglie e gli investimenti privati hanno dato un apporto positivo. In Veneto il mercato del lavoro è leggermente migliorato spinto dalla de-contribuzione delle assunzioni con contratto a tutele crescenti, ma una verifica più puntuale potrà essere fatta solo quando tali incentivi cesseranno.

Dopo sette anni di crisi che avevano segnato un netto confine tra imprese internazionalizzate con ritmi di crescita buoni e imprese che operavano sul mercato interno con difficoltà molto marcate, nel 2015 questo paradigma è, almeno parzialmente, cambiato: sono ripartiti le vendite al dettaglio e gli investimenti delle imprese chiamate a “svecchiare” il loro parco macchine. Il modello di sviluppo legato soprattutto alle esportazioni è stato positivo per l’economia regionale, ma comporta rischi e incertezze legate alle sempre più frequenti crisi internazionali. Tale modello va quindi ri-equilibrato favorendo la ripresa della domanda interna anche se non mancano rischi legati al difficile ricambio generazionale della popolazione residente e alle difficoltà di alcuni tra i principali istituti di credito locali.

Secondo le stime di Unioncamere, il PIL regionale dovrebbe crescere nel 2016 dell’1,3 per cento, un incremento appena superiore alla crescita dell’1,1 per cento italiana, con un apporto significativo della domanda interna e un rallentamento delle esportazioni: non vi sono tuttavia attese di una vera fase espansiva in grado di riportare velocemente l’economia regionale vicina ai livelli pre-crisi.

La produzione industriale, secondo i dati dell’indagine venetocongiuntura, ha registrato nel 2015 un aumento del +1,8 per cento, in linea rispetto allo scorso anno (+1,8%). La convincente ripresa dei livelli produttivi è stata confermata nel 2015 anche dall’indice del grado di utilizzo degli impianti, che in media d’anno si è attestato al 74,2 per cento della piena capacità produttiva. Anche l’indicatore del fatturato industriale ha evidenziato una crescita media pari al +2,3 per cento, confermando il cambio di tendenza registrato nell’anno precedente (+1,9%) dopo i segni negativi del 2012 e nel 2013 (rispettivamente -3,9% e -0,3%). Nel 2015 quasi il 48 per cento delle imprese manifatturiere del Veneto con almeno 10 addetti ha effettuato investimenti materiali e immateriali, impegnando il 25 per cento di risorse in più rispetto al 2014. I dati hanno confermato che il ciclo degli investimenti sembra destinato a proseguire anche nel 2016: il 45,2 per cento degli imprenditori prevedono di investire anche nell’anno in corso, una quota di poco inferiore a quella del 2015.

L’attenuazione delle dinamiche recessive nel settore viene confermata anche dall’aumento degli investimenti nel settore delle costruzioni rispetto al 2014 (+1,7%) che superano i 12 miliardi di euro. I segnali positivi arrivano dal settore del rinnovo che nel 2015 ha messo a segno un +5,5 per cento, che ha più che bilanciato la flessione delle nuove costruzioni, in calo del 4,3 per cento.

Il Veneto ha chiuso il 2015 con una dinamica positiva delle vendite al dettaglio dopo le variazioni a ribasso registrate nei tre anni precedenti. L’aumento medio annuo del fatturato è stato pari a +2,9 per cento su base tendenziale con una dinamica crescente nel corso dell’anno.

Nel 2015 il settore agricolo ha dovuto fare i conti ancora con l’andamento climatico, più caldo e meno piovoso rispetto alla norma. In termini di prodotto il dato più importante riguarda il valore complessivo della produzione lorda agricola veneta, che nel 2015 è da stimarsi in 5,7 miliardi di euro, in leggera flessione (-1%) rispetto all’anno precedente.

Le esportazioni e il movimento turistico degli stranieri hanno continuato a sostenere l’economia veneta. Le vendite di beni all’estero hanno registrato un progresso del 5,3 per cento, superando in termini nominali la soglia dei 57,5 miliardi di euro e marcando un nuovo record storico. Con un passo lievemente più spedito (+5,9%) le importazioni si sono approssimate ai 42 miliardi, indicando una ripresa generalizzata degli acquisti oltrefrontiera. Il saldo della bilancia commerciale ha superato i 15,6 miliardi di euro (+588 milioni di euro rispetto al 2014). La crescita dell’export ha interessato la quasi totalità delle merci esportate. In particolare, i flussi sono stati assai favorevoli per l’occhialeria (+12,7%), i macchinari (+6%), primo prodotto di punta del manifatturiero veneto (vale un quarto dell’export totale) e i prodotti alimentari (+13,7%). I maggiori Paesi destinatari dei prodotti, oltre alla Germania (+3,1%) che detiene il primato, vanno segnalate le ottime performance di Stati Uniti (+16,6%) e Regno Unito (+17%).

Quanto ai flussi di turisti stranieri, gli arrivi (+5,8%) e le presenze (+2,2%), mai così rilevanti, sono stati un elemento decisivo per i destini del settore, premiando principalmente le città d’arte e le località lacustri. Il 2015 ha visto il rilancio della montagna dopo anni difficili, grazie a un clima decisamente favorevole, ma ha fatto emergere la sofferenza del mare disertato dalla sua più fedele clientela, quella tedesca. Il bilancio termale è apparso in chiaro scuro per il calo significativo dei pernottamenti (-1,5%). Le minori presenze di olandesi, russi e danesi si sono fatte sentire, ma i maggiori contributi di Germania, Cina, Regno Unito e Stati Uniti hanno colmato il vuoto, mentre altre provenienze extraeuropee lasciano presagire un buon riscontro per il futuro.

Dopo una lunga fase negativa, il 2015 si è contraddistinto per una decisa discontinuità delle dinamiche del mercato del lavoro regionale. L’andamento dell’occupazione, così come rilevato dalle diverse fonti amministrative disponibili, è risultato ampiamente positivo (+36,6 mila posizioni di lavoro rispetto al 2014) per effetto sia della congiuntura economica più favorevole, sia degli interventi governativi volti a incentivare la stabilizzazione delle posizioni di lavoro e a favorire le assunzioni. La nuova disciplina contenuta nel Jobs Act, nonché l’introduzione dell’esonero contributivo per l’instaurazione e/o la trasformazione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, hanno dato notevole impulso alla domanda, ridefinendo la propensione e le convenienze del ricorso alle diverse tipologie contrattuali. Il più evidente cambiamento ha riguardato l’interruzione del trend di lungo periodo che vedeva la contrazione del ricorso ai rapporti a tempo indeterminato, sia in termini di flusso che di saldi delle posizioni di lavoro: questa tipologia di impiego ha segnalato una decisa impennata, sottraendo spazi ai contratti a termine e all’apprendistato. Ulteriori effetti del nuovo quadro regolatorio sono il rallentamento del ricorso a forme di impiego lavorativo ai margini dell’occupazione dipendente (lavoro a chiamata, parasubordinato), fortemente limitate dalle nuove norme, così come il persistere della straordinaria crescita del lavoro accessorio (voucher). Per il 2016 c’è da attendersi un inevitabile rallentamento dei volumi di crescita osservati. Il mantenimento dell’occupazione aggiuntiva registrata nel corso dell’anno dipenderà, congiuntura economica permettendo, dalla capacità del sistema imprenditoriale di trattenere e consolidare l’impiego dei nuovi ingressi in organico.

La scuola dell’infanzia rappresenta un punto di forza del sistema di istruzione e formazione veneto, con un tasso di partecipazione del 93 per cento. L’abbandono scolastico (8,4% dei giovani) è in diminuzione e inferiore al livello nazionale (15%). Ai miglioramenti in termini di partecipazione e livelli di istruzione si sono accompagnati segnali positivi sui risultati dell’efficacia dell’istruzione, misurati attraverso le competenze dei ragazzi. Nel 2015 le scuole primarie in Veneto, sia in italiano che in matematica, si sono attestate sulla media nazionale. Sopra la media italiana si ottengono anche per la classe III della scuola di primo grado sia in italiano che in matematica, con punteggi rispettivamente pari a 208 e 210. Infine, nella classe II della scuola secondaria di secondo grado si ottengono punteggi significativamente superiori rispetto al Paese, sia in italiano che in matematica e rispettivamente pari a 212 e 213.

In generale migliorano i livelli di formazione, si riduce il divario con l’Europa, cresce la partecipazione culturale e il titolo di studio elevato si conferma un fattore protettivo nei confronti delle difficoltà a trovare un lavoro. Il tasso di passaggio dalla scuola secondaria all’università in Veneto si è attestato nel 2014 al 50,5 per cento, pur in calo rispetto al 2013 (56,8%). Nel 2015 in Italia il 25,3 per cento dei 30-34enni italiani ha conseguito un titolo universitario. In Veneto la percentuale è stata pari al 26,4 per cento (di cui il 32,2% delle donne e il 20,6% degli uomini), ancora inferiore al valore di soglia fissato tra gli obiettivi di Europa 2020 (40%). I laureati che ad un anno dal titolo di studio dichiarano di lavorare sono meno della metà per Ca’ Foscari (49,3%) e IUAV (46,5%) mentre Verona ha una percentuale di giovani che lavorano pari al 61 per cento e Padova il 50,6 per cento. In Italia e in Veneto la percentuale di giovani Neet (not in education, employment or training) ha continuato ad aumentare, toccando nel 2015 rispettivamente il 25,7 e il 17 per cento.

Dopo un lungo periodo in cui le famiglie venete hanno subìto gli effetti della crisi con un netto peggioramento delle principali variabili economiche ad esse riferite e alla lenta erosione della loro ricchezza e dei risparmi, l’anno 2014 ha segnato un primo e timido punto di inversione della tendenza. Il recupero della ricchezza persa in questi anni non sarà immediato e, forse, neanche completo: quello che sembra attendere le famiglie è una progressiva stabilizzazione verso una “nuova normalità” intesa come un nuovo livello nel tenore di vita che sarà più stabile ma strutturalmente al di sotto del decennio precedente. La crisi ha comportato alcuni effetti difficilmente reversibili nel breve termine come l’alto numero di disoccupati da riassorbire, un sostegno pubblico che sarà decrescente nel tempo e un comportamento di spesa più cauto rispetto al passato.

I primi dati del 2015 confermano il miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie grazie alla politica fiscale accomodante, alla bassa inflazione e all’evoluzione positiva del mercato del lavoro: il potere d’acquisto è tornato a crescere per la prima volta dal 2007 (reddito disponibile +0,9% rispetto al 2014), si è consolidata la moderata ripresa dei consumi e si è stabilizzato il risparmio finanziario. Le condizioni economiche delle famiglie continueranno a migliorare nel triennio di previsione e i flussi di risparmio, pur senza tornare sui livelli precedenti la crisi finanziaria, daranno un contributo più rilevante alla crescita delle attività finanziarie. Lo scenario futuro più probabile che attende le famiglie è quello di una progressiva ripresa che le porterà a collocarsi strutturalmente su un livello di ricchezza probabilmente più basso rispetto al decennio precedente ma che, a fronte dell’attuale competitività e produttività del Paese, forse rappresenterà il reale standard of living italiano.

Nel 2015 il traffico veicolare complessivo sulla rete autostradale regionale è aumentato rispetto all’anno precedente. Spiccano le direttrici che hanno origine e/o destinazione nell’area centrale veneta, in particolare: l’a27 Mestre-Belluno (+4%), l’a4 Brescia-Padova (+3,7%) e l’a22 Modena-Brennero (+3,3%), soprattutto per quanto riguarda la componente pesante. Il porto di Venezia, con oltre 25 milioni di tonnellate, ha registrato un aumento del traffico merci del +15,3 per cento, anche se negli ultimi cinque anni le merci movimentate sono diminuite (-4,9%) rispetto agli altri porti dell’alto-Adriatico (Triste +20%, Koper +34,7%). Lo scalo di Chioggia ha invece trasportato 1,6 milioni di tonnellate, in aumento del 4 per cento rispetto all’anno precedente, dopo anni di continue flessioni (-19,2% il calo dal 2010 al 2015).

Positiva la dinamica relativa ai flussi aeroportuali veneti. Nel 2015 il traffico passeggeri negli aeroporti del Veneto ha evidenziato un incremento nel Marco Polo di Venezia (+3,3%) e nel Canova di Treviso (+6%), mentre ha segnato una flessione nel Catullo di Verona (-6,6%). Molto positivo invece il trend del traffico merci negli scali di Venezia (+14,7%) e Verona (+8,2%). L’interporto di Verona nel 2015 ha movimentato 28 milioni di tonnellate di merci, delle quali 20 milioni via camion e quasi 8 milioni via treno. Il traffico ferroviario è stato di quasi 399 mila UTI (corrispondente a più di 713 mila TEU), risultato in aumento rispetto all’anno precedente (+1,9%). L’interporto di Padova ha toccato i 275 mila TEU, con un incremento dell’1,9 per cento rispetto al 2014 e del 9,9 per cento rispetto al 2012.

Alla fine del 2015 i prestiti bancari al settore privato non finanziario (imprese e famiglie consumatrici) hanno mostrato una flessione dell’1,1 per cento, in linea con la variazione dell’anno precedente. A fronte della moderata ripresa dei finanziamenti alle famiglie consumatrici (+1,4%, da -0,1% nel 2014), sostenuta dal livello storicamente contenuto dei tassi di interesse sui mutui per l’acquisto della casa, i prestiti alle imprese hanno registrato un calo del 2,2 per cento (-1,3% nel 2014). Alla crescita dell’ammontare complessivo dei mutui casa ha contribuito il deciso aumento delle nuove erogazioni nel corso del 2015 (62,6% sull’anno precedente). Al netto delle surroghe e sostituzioni, che nel corso del 2015 hanno costituito il 16,8 per cento dei nuovi mutui, l’aumento sarebbe stato del 40 per cento. I finanziamenti erogati dalle banche e dalle società finanziarie alle imprese, comprensivi delle sofferenze, sono diminuiti del 3,2 per cento alla fine del 2015 (-1,7% nel 2014). La flessione dei prestiti è stata più marcata per il comparto delle costruzioni (-8,4%) rispetto a quelli manifatturiero (-2,3%) e dei servizi (-2,6%). Alla fine del 2015 l’incidenza delle sofferenze sui prestiti totali alle imprese era cresciuta al 20,2 per cento (dal 17,6% della fine del 2014), mentre si era ridotta all’11,6 per cento la consistenza degli altri crediti deteriorati (dal 12,3% di fine 2014).

Nel 2015 il valore ai prezzi di mercato dei titoli a custodia nel portafoglio delle famiglie consumatrici si è ridotto del 7,8 per cento (-3,3% nel 2014). All’accentuata flessione degli investimenti in titoli di Stato (-18,2%) e in obbligazioni bancarie (-26,8%) e di altri emittenti (-7,9%) si è associato il calo delle azioni (-4%).

Sull’andamento negativo del valore dello stock di azioni detenuto dalle famiglie venete hanno influito le svalutazioni (pari al 23% circa del valore a fine 2014) sui titoli di capitale delle due maggiori banche popolari venete non quotate. Anche nel 2015 è proseguito il ridimensionamento della rete degli sportelli bancari: a fine anno risultavano operativi 3.145 sportelli con una flessione del 4,3 per cento rispetto al 2014 (-142 unità). La diminuzione ha interessato in misura più accentuata le banche medie (-9,1%) e quelle maggiori e grandi (-4,8%), mentre è stato più contenuto per gli intermediari piccoli e minori (-1,2%).

Nel 2015 l’Italia ha rispettato il principale parametro europeo di finanza pubblica: infatti, il rapporto deficit/Pil si è attestato al 2,6 per cento. Per l’anno in corso la Commissione europea prevede un rapporto deficit/Pil in miglioramento (2,4%), mentre il debito pubblico dovrebbe stabilizzarsi sui livelli del 2015 (132,7% sul Pil).

La spesa statale in Veneto è leggermente diminuita. Il totale dei pagamenti effettuati dallo Stato nel territorio regionale ammontava nel 2014 a 13.009 milioni di euro (-2,5%); in particolare, la spesa per trasferimenti verso le Amministrazioni locali è scesa del 4,2 per cento. Il Veneto si contraddistingue per la ridotta presenza di personale pubblico rispetto ad altre aree del Paese: nel 2014, per il Veneto il rapporto era di 46,3 dipendenti ogni mille abitanti, a fronte di una media nazionale di 53,5.

Il bilancio 2016 della Regione Veneto evidenzia una crescita degli stanziamenti di spesa rispetto all’anno precedente (+7,2%), anche se gli investimenti flettono del 29,2 per cento. La sanità è ampiamente la prima funzione di spesa della Regione, assorbendo il 62,6 per cento degli stanziamenti, confermandosi sui valori dell’esercizio precedente.

Tra il 2011 e il 2015 i Comuni veneti hanno subìto tagli di risorse pari a 624 milioni di euro: rispetto alla fase precedente la “stagione delle manovre”, le Amministrazioni comunali del Veneto hanno perso il 57,8 per cento dei trasferimenti statali.

Tra i fattori fondamentali per lo sviluppo dell’economia del Veneto, l’innovazione occupa il primo posto. Utilizzando le conoscenze in modo efficace aumenta la produttività ed il benessere e crea nuove opportunità di mercato. Il presente lavoro illustra una serie delle più recenti evidenze sulle attività di innovazione mettendo a confronto l’Italia con le altre grandi economie dell’unione europea ed il Veneto con le principali regioni manifatturiere simili per dimensione. L’Italia ed il Veneto continuano ad essere considerati innovatori moderati con una spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al Pil molto inferiore agli standard europei. Questo dato però può nascondere qualche sottostima: utilizzando il numero di addetti dedicati ad attività di ricerca e sviluppo o la quota di imprese innovative, emerge che la distanza dell’italia e del Veneto è meno profonda. Ciò non toglie che, soprattutto per il Veneto, ci siano ampi margini di miglioramento in particolare sul piano della collaborazione, del trasferimento tecnologico e del capitale umano.

Ripensare il territorio, in un’ottica di razionalizzazione e semplificazione, alla luce della soppressione/riforma delle Province, che tanta enfasi ha avuto nel nostro Paese negli ultimi anni, diventa un passaggio obbligato per migliorare l’assetto territoriale della Pubblica Amministrazione, in questi anni difficili segnati dalla crisi economico-finanziaria apertasi nel 2008, ridurre sprechi ed inefficienze e garantire gli equilibri di finanza pubblica, salvaguardando i redditi dei cittadini e i profitti delle imprese. Il superamento delle Province può tuttavia essere inteso in modi diversi. Alcuni osservatori pensano che si tratti di un processo di revisione della spesa pubblica locale, imposto dal contesto economico e finanziario sfavorevole. Altri ritengono che l’abolizione delle Province rappresenti un’opportunità dal punto di vista della semplificazione amministrativa. La ridefinizione delle Province, attuata dalla legge n.56/2014, diventa quindi un’occasione per riflettere e per sperimentare soluzioni inedite, volte a specializzare alcuni territori e rivedere i programmi di investimento in infrastrutture. L’abolizione degli ambiti provinciali e la concentrazione di alcune funzioni a livello superiore potrebbe aprire una nuova prospettiva, che consenta alla regione del Veneto di “cambiare stato”, diventando uno spazio metropolitano integrato, una federazione di municipi, capace di offrire nuove opportunità a cittadini e imprese.

Promuovere processi di sviluppo di ecosistemi territoriali può diventare un’opportunità per rendere l’economia regionale più competitiva a livello nazionale ed europeo. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una crescente attenzione sulla riduzione dell’impatto delle attività produttive sull’ambiente che hanno portato all’adozione di politiche nazionali mirate, con il merito di rilanciare alcuni settori e di porre il tema del risparmio e dell’economia circolare al centro del dibattito. Non si tratta solo del mutato atteggiamento di alcuni, sempre più numerosi, imprenditori illuminati ed attenti all’ambiente, mossi da una personale sensibilità svincolata dall’applicazione della normativa cogente. Sembra affacciarsi, se pur lentamente, una presa di coscienza generalizzata dell’importanza, anche economica, della riduzione dei consumi, che si riflette su una chiara riduzione dei costi, dell’uso di certificazioni come promozione sia del proprio prodotto che del processo aziendale o ancora degli investimenti in innovazione al fine di migliorare l’impatto ambientale e parallelamente il fatturato. Seguendo l’esempio del legno-arredo, anche le imprese del settore della meccanica/meccatronica, uno dei comparti manifatturieri più rilevanti dell’economia regionale, stanno mostrando una nuova e crescente sensibilità verso i processi innovativi per la riduzione dell’impatto ambientale, che sta diventando un driver strategico per la competitività, per l’accesso a nuovi mercati e, al contempo, per lo sviluppo di quelli già consolidati.

Puntare sullo sviluppo della bioeconomia in Veneto, definita il motore della prossima ondata di crescita globale, potrebbe rappresentare una scelta strategica per l’economia regionale. La bioeconomia si prefigge di superare la perdurante dipendenza dalle risorse di origine fossile verso un sistema globale più attento alla conservazione della natura e degli ecosistemi che definisca una serie di regole e priorità per la produzione sostenibile di biomassa con differenti finalità, dagli usi alimentari a quelli energetici a quelli dei materiali e biotecnologici. Da una prima disamina la bioeconomia in Veneto appare oggi un fenomeno ancora marginale – non tanto in termini assoluti quanto in termini relativi sul totale dell’economia regionale. Tuttavia i potenziali di crescita di questo nuovo motore di sviluppo sono molto elevati: nuove opportunità di lavoro, mitigazione dei cambiamenti climatici, efficienza delle risorse.

Lo sviluppo della bioeconomia non potrà comunque prescindere dalla capacità di strutturare politiche equilibrate e partecipate insieme a modelli di business sostenibili che tengano in considerazione gli interessi di una moltitudine di attori. Le prospettive di crescita “fisiologica” della bioeconomia infatti, e la stessa percezione da parte delle imprese che già producono beni e servizi da risorse rinnovabili, inducono a riflettere sul fatto che, come avvenuto in altri contesti, per favorire cambi drastici sul fronte tecnologico, è fondamentale il ruolo dello Stato, sia come investitore nella ricerca di base che come acquirente di prodotti con determinate caratteristiche di sostenibilità e innovazione.

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