Netto rialzo dei prezzi di petrolio e gas
Prime immediate conseguenze dell’estensione al 2024 dei tagli alla produzione petrolifera, una misura decisa nel vertice di Vienna, dove si sono incontrati i Paesi membri dell’organizzazione che riunisce i maggiori esportatori al mondo di idrocarburi.
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Prime immediate conseguenze dell’estensione al 2024 dei tagli alla produzione petrolifera, una misura decisa nel vertice di Vienna, dove si sono incontrati i Paesi membri dell’organizzazione che riunisce i maggiori esportatori al mondo di idrocarburi. Come si legge nel comunicato riassuntivo, la decisione è in linea con l’approccio di anticipare ed essere proattivi, nel tentativo di “offrire una guida di lungo termine per il mercato”. A ritenere il taglio della produzione un’opzione non più rinviabile è stata l’Arabia Saudita, preoccupata per i tentennamenti dell’economia americana ed europea e dalla lenta ripresa di quella cinese post Covid, ottenendo un accordo con gli altri alleati, sudato per via delle frizioni che sono sorte nel corso delle trattative. Con i Paesi africani, ai quali è stata chiesta una riduzione della produzione, accettata non senza accusare Riad di monopolizzare le decisioni più importanti in seno al gruppo. Ma anche con la Russia, da mesi allineata sulla riduzione dell’offerta, nonostante sia costretta a vendere quanti più barili possibili per mantenersi in vita. Lo fa a prezzi bassissimi, andando contro l’esigenza del Regno saudita che ha bisogno di grandi entrate per finanziare i suoi progetti, e per di più ai partner asiatici – Cina su tutti – facendo così concorrenza a Riad.

Anche se il dietro alle quinte è più interessante, lo spettacolo portato in scena dall’Opec+ prevede lo stesso copione dei mesi scorsi. Il taglio proseguirà per tutto l’anno prossimo, con la Russia che manterrà una riduzione di 500mila barili al giorno per i primi sei mesi mentre, da questo luglio, l’Arabia Saudita porterà la produzione quotidiana da dieci a nove milioni di barili, con l’avvertimento di un’ulteriore diminuzione. Anche Nigeria e Angola – due delle più restie ad accettare l’accordo saudita –  vedranno ridursi le proprie, rispettivamente di 300mila e 200mila unità. Gli unici a uscire vincitori dalla riunione di domenica sono stati gli Emirati Arabi Uniti, che potranno aumentare la produzione di 300mila barili al giorno. In sostanza, l’Opec+ ha fissato la prodizione giornaliera per il 2023 a 40,46 milioni di barili, aggiungendo al taglio attuale di 3,66 milioni di barili uno ulteriore di 1,4 milioni.

Le ripercussioni andranno monitorate nel corso del tempo ma la reazione del giorno dopo vede il petrolio sopra la soglia dei 73 dollari al barile (+1,85%) e il brent oltre i 77 dollari. Tuttavia, per il Fondo Monetario Internazionale l’Arabia Saudita avrebbe bisogno che si assesti sugli 80,90 dollari per fronteggiare le spese delle sue ambizioni, a cominciare dal mega progetto di Neom, la città del futuro, fino all’insieme della strategia Vision 2030. Corre molto più veloce il gas (+8,5%), arrivato a 26 euro al megawattora.

La situazione è quindi destinata ad appesantire ancor di più il clima internazionale, con una novità: a protestare non c’è solo l’Occidente. Gli Stati Uniti, seguiti a ruota dall’Europa, hanno fin dal principio accusato l’Opec+ di manipolare a suo piacimento i prezzi del mercato energetico, venendo incontro alle difficoltà riscontrate da Mosca con le sanzioni. Il presidente Joe Biden aveva preso un volo per andare dal principe Mohammed bin Salman e chiedergli di persona di non ridurre il numero dei barili, così da evitare oscillazioni al rialzo sul mercato che insieme all’inflazione avrebbero messo in difficoltà i consumatori. Promessa accordata da Riad ma non mantenuta, scatenando le ire di Washington che si sono moltiplicate a ogni nuovo taglio. Compreso quello inaspettato di aprile, che ha portato l’amministrazione statunitense a ipotizzare il sequestro dei beni Opec+ sul territorio americano qualora fosse stata confermata la collusione di mercato. Da Riad continuano a ripetere la stessa cantilena: le decisioni del gruppo sono una risposta al continuo stampare moneta da parte dell’Occidente nell’ultimo decennio e, pertanto, non contribuiscono all’aumento dei prezzi.

Le accuse reciproche rientrano nel gioco. Molto meno lo sono invece le tensioni interne al gruppo. Fino ad oggi l’Opec+ ha mostrato unità e compattezza nonostante il peso delle sue decisioni. A fare la voce grossa questa volta sono stati alcuni Paesi africani, infastiditi dalle richieste saudite quando avrebbero necessità di incassare, tanto da mettere a repentaglio la conclusione dell’accordo. Alla fine ha predominato la volontà di Riad, ma ai lamenti africani si aggiungono anche quelli russi, nonostante Mosca sembri essere d’accordo. Ma solo di facciata. Alexander Novak, vice primo ministro con delega alle risorse energetiche, vede nell’estensione del taglio una stabilizzazione del mercato rispetto all’altalena a cui è soggetto. Soprattutto, ha chiarito che non c’è stata alcuna frizione con Riad. Da quanto emerso, al contrario, una discussione piuttosto accesa tra i membri più importanti dell’organizzazione c’è stata eccome, basata su reciprochi interessi.

Riad vuole cavalcare l’onda del momento per cercare in ogni modo di raggiungere uno status quo che la renda davvero una superpotenza energetica. Per riuscirci, deve inevitabilmente dettare legge in materia, anche a costo di inimicarsi partner come gli Stati Uniti. Dall’altra parte, invece, la Russia deve pur sopravvivere. Le sanzioni stanno avendo i loro effetti, forse non come ce li si aspettava, ma Mosca è costretta a continuare a pompare petrolio e venderlo a chiunque lo voglia a prezzi bassissimi, contrariamente a quelli che erano gli accordi presi con gli altri alleati del gruppo. Una beffa per Riad, che diventa doppia nel momento in cui la Russia ha superato l’Arabia Saudita nelle forniture di petrolio verso la Cina e l’India. Dal loro punto di vista, entrambe si dichiarano nella ragione ed oggettivamente ognuna ha i suoi motivi per affermarlo. Così come l’Occidente non ha torto quando afferma che queste decisioni, maturate per questioni di interesse nazionale, contribuiscono alla crisi dell’intero comparto energetico, per cui esistono altre concause.

Fatto sta che Riad si è messa al timone dell’Opec+. Un’autoinvestitura lecita, visto che parliamo del maggior produttore del gruppo, ma non intende mollare il ruolo di capitano né tantomeno ascoltare le richieste che arrivano dalla ciurma. Riferendosi all’accordo raggiunto, il ministro degli Esteri Abdulaziz bin Salman non ha nascosto l’entusiasmo. “Dovrei chiamarlo il lecca-lecca dell’Arabia Saudita. È davvero un grande giorno per noi perché, devo dire, la bontà dell’accordo e della cooperazione è senza precedenti”. Non è del tutto vero, ma per l’Arabia Saudita ad ora va bene così.

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